#parolaviva
In quel tempo, gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato. Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono.
Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».
#vivilaparola
Un ramoscello leggero, pronto ad essere sradicato e portato via, al primo fruscio di vento, ci pare la vita: siamo come tanti solitari fili d’erba, esposti a improvvise tempeste, un nulla, nella grande volta dell’universo. Ma il cuore dell’uomo batte oltre l’effimero. Uniti dal comune destino e la medesima fatica, insieme, eppure assaliti da una solitudine vertiginosa: animati dall’unica domanda di senso. Per tutti c’è un invito, un appuntamento decisivo, da non perdere, ma ci è richiesto coraggio, umiltà, intuito: sarà l’inizio di un passo nuovo, di un altro sentiero, del percorso che aspettavamo, ma non riuscivamo a vedere. Più di qualcuno, invece è iscritto al club dei “palloni gonfiati”, tutto impegnato ad allargare a dismisura il proprio ego, cieco, alla ricerca di una forza che possa vincere l’estrema debolezza dell’essere. Di ben altro peso specifico abbiamo bisogno quando il dubbio ci prende e ci sentiamo in balía del nulla: di un legame autentico, uno sguardo amorevole, un abbraccio sincero che ci fa sentire desiderati, amati e inviati.
Nel Vangelo di questa domenica Gesù non viene come la soluzione di ogni problema, con l’algoritmo risolutivo, bensì come un ingenuo, un innamorato delle storie, che crede in noi, tanto da darci appuntamento nella “nostra personale Galilea”: il luogo dove spesso il traffico di attese, desideri, delusioni e illusioni prevale. Chi ci potrà salvare dal caos dove siamo? Nessuno senza il nostro aiuto. Ecco perché a Dio piacciono le storie perché si annoia senza, per questo si racconta, non ha paura di sporcarsi i piedi: l’uomo non può scoprire di sé fuori da essa, di che pasta è fatto, e soprattutto non riesce a trovare la propria storia. Solo stando con i piedi piantati nella polvere ci apriamo a quell’incontro che ci permette di scoprire chi siamo e maggiormente per chi siamo. In Dio ogni persona vive per l’altra e non per sé stessa: Egli è relazione, non ama i monologhi, ma predilige i dialoghi. Mentre oggi tutti vogliono fare monologhi! Correre in solitaria! Essere i capitani!
Si tratta di una semplice verità…la salvezza sta nell’essere per l’altro, non per sé stesso: Dio infatti è l’abbraccio di un Padre che genera vita, è sorriso di un figlio che dona il sangue, é soffio di Spirito che tutto vivifica. Ogni fede vera è un’esperienza di convivialità, una fatica e una consolazione, una ferita ma anche una benedizione, una presenza e una mancanza, chiamata e invio, servizio e missione. Il cristianesimo non è una formula dogmatica, astratta e teorica, bensì scoperta di essere immersi nell’amore salvifico di un Dio che si muove con noi e si fa tavola di comunione per noi, non gode vedere nessuno escluso, triste, disperato, e tutti invita alla sorgente della vita.
#farsiparola
Chi ha vissuto nell’abbraccio trinitario di Dio è stato Alberto Marvelli: nasce a Ferrara il 21 marzo 1918, secondogenito di sette fratelli. Nel 1930, trasferitosi a Rimini, si è formato all’interno dell’oratorio della parrocchia di Maria Ausiliatrice, retta dai Salesiani, e nell’Azione Cattolica, rivestendo anche incarichi di responsabilità a livello diocesano. Laureato in Ingegneria, ha svolto diversi lavori, anche alla Fiat di Torino. Tornato a Rimini dopo l’8 settembre 1943, da cui era andato via, si é prodigato instancabilmente nel soccorso agli sfollati e nell’opera di ricostruzione, anche come assessore ai lavori pubblici. Generoso, uomo dalle grandi doti umane e spirituali che, viveva con naturalezza e umiltà: attivo nella società civile e operativo nella politica ispirata ai valori cristiani, riscuote rispetto e stima anche dai suoi avversari.
Tanto da ricevere la proposta di Benigno Zaccagnini, a candidarsi nella lista della Democrazia Cristiana per l’elezione della prima amministrazione comunale del dopoguerra. Innamorato, desiderava il matrimonio, ma accetta come volontà di Dio, l’amore non corrisposto di Marilena. Morì prematuramente, il 5 ottobre 1946, a ventotto anni, investito da un autoveicolo militare.
È stato beatificato da papa Giovanni Paolo II a Loreto il 5 settembre 2004. Fin dall’adolescenza ha coltivato il desiderio della santità che, intendeva non solo come chiamata personale, ma soprattutto come mezzo indispensabile per cooperare alla salvezza del prossimo. La passione che lo anima é il suo amore per Dio, alimentato dall’assidua preghiera e la Comunione eucaristica quotidiana. Nel suo diario si evidenziano i gradini di questo costante e progressivo crescere nella vita interiore, fino ad arrivare alle vette della santità: «Gesù mi invita a salire, ad ascendere. Ho un desiderio intenso di farmi santo attraverso la vita che il Signore mi riserva».
Paolo Greco