#parolaviva
In quel tempo, quando la folla vide che Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafàrnao alla ricerca di Gesù. Lo trovarono di là dal mare e gli dissero: “Rabbì, quando sei venuto qua?”. Gesù rispose loro: “In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo”.
Gli dissero allora: “Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?”. Gesù rispose loro: “Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato”.
Allora gli dissero: “Quale segno tu compi perché vediamo e ti crediamo? Quale opera fai? I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: “Diede loro da mangiare un pane dal cielo””. Rispose loro Gesù: “In verità, in verità io vi dico: non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero. Infatti il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo”.
Allora gli dissero: “Signore, dacci sempre questo pane”. Gesù rispose loro: “Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!”.
#vivilaparola
Pur affascinati da città ideali, da isole dell’utopia, e altri mondi possibili, facilmente cediamo a chi ci propone un piatto di lenticchie, e ritornare al nostro piccolo orto concluso. Quando ci morde la fame vanno a farsi benedire i bei principi, i buoni propositi come i nobili pensieri e ogni virtù. La libertà ha un prezzo troppo salato da pagare: molti, infatti piegano la testa pur di garantirsi qualcosa da mangiare. Si prestano, forse anche inconsapevolmente, a quel sistema produttivo privo di etica che bada solo ai soldi e poco alle persone. Tanti sono coloro che per un pezzo di pane sono costretti a fare turni massacranti, sotto il sole cocente, fino a morire. Il sapore del pane è autentico quando proviene dal lavoro ben fatto, rispettoso dell’altro, della terra e di chi verrà in futuro.
C’è un pane più prezioso che nutre il pane che mettiamo a tavola: si tratta del pane di amore, di giustizia, di uguaglianza, di dignità, di solidarietà e di condivisione. Quando per garantire i propri interessi si ignora il rispetto dell’ambiente, la tutela della salute e la sicurezza della vita, il pane diventa avvelenato, commettendo il più grave degli scempi. Chiediamoci se il pane che mettiamo a tavola è frutto di logiche di ingiustizia e dell’interesse egoistico a discapito degli altri, oppure è frutto di progetti onesti, equi e solidali. Il pane è un diritto inalienabile che ancora oggi viene negato, non perché manchi il grano, ma perché qualcuno si è appropriato più degli altri dei beni della terra: una inequità che invoca giustizia per i molti, i tanti, i troppi che anche oggi periscono di fame.
Il Vangelo di questa domenica ci presenta un Gesù inedito, che non siamo abituati a conoscere: lo abbiamo visto sempre disponibile, pronto a chinarsi sul prossimo, mentre oggi lo vediamo duro, rimproverare la folla che lo seguiva. Il motivo è che molti lo cercano soltanto per motivi materiali, di mero interesse, lo ritengono una soluzione alla situazione che li affligge. Abbiamo sempre la tentazione di un Dio che ci risolve i problemi dall’alto, senza che noi ci affatichiamo tanto. Gesù richiama quelle genti perché crede ancora che possano compiere quel salto di qualità che li conduce ad una fede vissuta in prima persona, capace di mettersi in gioco, non autoreferenziale, e sappia fare di sé un dono per gli altri. Gesù si propone come il pane della vita, quello che sazia appunto, la fame di senso, significato, di giustizia, di bellezza e di verità. In sintesi, Lui è venuto per saziare la fame di amore. Una fame che la contemporaneità cerca di riempire con prodotti di beni di consumo, ma che non placa affatto: sarà anche per questo, che il pane oggi ha perso il sapore? Dove manca l’amore, manca il pane buono!
C’è un pane che sazia e ce n’è un altro che non sazia. Il successo personale, il prestigio sociale, il guadagno economico, il possesso, non ci saziano. Lasciano solo il vuoto. Solo l’amore sazia. Nel nostro tempo, molti sono i cristiani che seguono Gesù solo per una logica affaristica, di puro vantaggio socio-politico ed economico e non si sporcano mai le mani, preferiscono solo occupare posti piuttosto che percorrere strade di vita: quando chi crede in Gesù non solo eleva la preghiera – “dacci sempre di questo pane che sazia” – ma agisce in prima persona, donando, amando, sudando, offrendo e testimoniando un’altra logica, quella del pane di vita eterna, fatta di giustizia, di rispetto, di accoglienza, di solidarietà, di condivisione, di libertà, senza temere di essere minoranza. Noi perché seguiamo Gesù? La risposta che, ciascuno nel suo intimo, darà a questa domanda esprimerà anche la qualità della propria fede! L’intento di Gesù non è fornire pane, ma il lievito di eternità che tutto trasforma dall’interno della storia.
#farsiparola
Chi ha fatto della sua vita un pane di vita eterna è stato Gianluca Firetti di cui Papa Francesco ha indicato essere un modello per tutti i giovanissimi. Ha solo 18 anni quando gli viene diagnosticato il tumore alle ossa che, dopo due annunci lo condurrà alla morte, il 30 gennaio 2015. Sono due anni di sofferenza e di lotta, ma grazie al suo coraggio e a una fede che si rafforza nella sofferenza, diventa testimonianza.
Tra i tanti amici che in quei mesi varcano la soglia della sua stanza, c’è anche don Marco D’Agostino, con il quale si crea un rapporto di amicizia profonda e si trasforma in un libro scritto insieme: Spaccato in due. Non è un testamento, nemmeno la cronaca di una malattia atroce, ma la scia di una speranza che vince anche la morte.
Un giovane che contagiava, perché l’amore traboccava dal suo cuore, genuino e coraggioso.
Nella sofferenza e nel dolore quotidiano ha scoperto che Dio lo amava, che lo sosteneva nella sua terribile prova, che poteva “smezzargli la croce” – come usava spesso ripetere durante la malattia – e così si è trasformato sempre di più in uno strumento d’amore per gli altri.
La sofferenza che prova, non diviene muro invalicabile per gli altri, non lo allontana dai suoi amici, dalla famiglia, dai cari, al contrario, lo avvicina sempre di più a loro, diviene un magnete che attrae e unisce. Il letto dell’Hospice si trasforma così da luogo di morte, a luogo di incontro, amicizia e preghiera.
Ha intorno una famiglia, i suoi parenti, una parrocchia, un oratorio, degli amici che vivono e pregano con lui e per lui. Lo aiutano e si sentono aiutati. Per questo il luogo del dolore, diventa terra di grazia e di luce. Profuma di vita e di speranza. (…) una mèta e un pozzo, dai quali attingere forza per la vita, coraggio per la giornata.
Sono molti i ricordi preziosi che il “Don”, come lo chiamava Gianluca, riporta nel libro.
C’è un episodio particolarmente significativo, “liturgico”, di enorme affetto e devozione, avvenuto la domenica prima che Gian morisse. I due dopo aver parlato a lungo, pregano insieme l’Ave Maria e poi don Marco si piega a baciare il capo e le mani di Gian, come il venerdì santo ci si china a baciare il Crocifisso.
«È stata la domenica delle grandi domande (…) Gianluca si è posto davanti alla morte con coraggioso timore. Aggrappandosi, fino all’ultimo, a quella croce pesante che non ha mai mollato. “Don, ma secondo te come sarà la morte? Che cosa troverò? Il Signore che cosa mi mette davanti?” (…) Davanti a lui, steso sul letto e affaticato, mi è venuta questa intuizione. “Gian, pensa alla tua vita. È stata bella quando stavi bene. È ed è ancora più bella nella malattia. Pensa a tutto il bene che tu hai fatto in questi due mesi”. (…) L’ho visto sorridere. (…) “Gian, pensa a quanto bene stai facendo e a quante persone”.
E a quanti ancora… non sapevamo che ne avrebbe fatto! Lui chiudeva gli occhi. Come a dire: “Mi fido, don, se lo dici tu”. E anche queste erano parole che “spaccavano”, aprivano il cuore, chiedevano conversione. Gian ci crede, si affida, spera e prega. Insieme lo facciamo, per l’ultima volta, con un’Ave Maria. “Sento la Madonna vicina” … E in quell’atmosfera di commozione ci salutiamo»
Paolo Greco