Il 18 febbraio Papa Francesco ha decretato il riconoscimento delle “virtù eroiche” del Servo di Dio Immacolato Giuseppe di Gesù, al secolo Aldo Brienza, religioso carmelitano molisano di Campobasso.
In questo clima di grande gioia per la Chiesa Molisana e in particolare per la Chiesa diocesana di Campobasso, la nostra testata ha raccolto la testimonianza di uno dei nipoti del Servo di Dio Aldo: Pasquale De Lisio, figlio della defunta sorella di Frate Aldo, funzionario di banca da qualche mese in quiescenza. Dalla testimonianza di Pasquale si coglie la forte spiritualità di Frate Aldo.
«Quando mi accingo a scrivere riguardo a zio Aldo, penso sempre didoverlo fare per raccontare qualcosa di eccezionale, ma poi, pensandoci su, non riesco a trovare nulla che susciti stupore nella sua vita. Questa è stata, infatti, sempre vissuta nell’umiltà, al riparo dalla curiosità della gente, nella casa in cui lui era nato. Anche la sua incredibile esperienza di sofferenza, che mi viene rivelata solo ora attraverso le sue lettere, era fatta nel silenzio, in virtù dell’obbedienza che però, nel corso degli anni si era trasformata in gioiosa accettazione. Difatti egli scrive a Padre Valentino il 17 /12/55: ”Attualmente veramente soffro… e benedico il Signore perché neppure chi mi è intimo s’accorge della profondità dei miei dolori … Gesù sa dissimularli”.
Dio non vuole la sofferenza. Non è stato Lui, infatti, ad introdurre nel mondo il dolore, la miseria l’oppressione, la morte. Ma l’uomo. Però, Dio diventa in Cristo, uomo che soffre. Non per una specie di solidarietà nel dolore, ma per dargli senso. La condizione fondamentale per valorizzare il dolore e la sofferenza: è amare. Anche quando le sofferenze sono causate dalla malizia degli altri e dalla violenza.
La sofferenza sopportata con amore è una miscela esplosiva di vita. Ma tutto ciò, come dicevo, non traspariva da nulla: lui era sempre lì, nel suo letto, pronto ad accogliere chi cercava pace e sicurezza proprio in quel suo silenzio e in quei suoi occhi trasparenti. Già, i suoi occhi. Erano occhi vivaci, grandi e scuri, e non si riusciva a fissarli: era come se dietro di essi si celasse qualcosa troppo grande da capire; il suo sguardo provocava sempre un certo imbarazzo, ma questo svaniva presto per far posto ad una strana tranquillità. Quegli occhi erano capaci di infondere coraggio, di rassicurare chi, come me, aveva sempre bisogno di sapere se era giusta la strada che stava per intraprendere.
Mi stupiva il fatto che sapesse sempre dirmi quello che dovevo dire o fare, ed ero ben certo che se avessi detto o fatto ciò che lui diceva, sarebbe stata comunque la cosa giusta. Mi stupiva ancora che riuscisse sempre a capire le persone, che a me a volte sembravano diverse da come lui le vedeva ma che poi, alla prova dei fatti, si rivelavano proprio così.
Nessuno di noi capirà mai il suo strano modo di intuire le cose. Le sue, infatti non erano delle semplici intuizioni, frutto di una mente intelligente e acuta, disponibile al contatto umano e capace di penetrare nella psicologia delle persone. Nelle sue parole non c’era il dubbio o l’incertezza; non capiva le cose o le persone: lui le conosceva, e questa sua conoscenza avveniva in un attimo, che era già passato o era quello stesso in cui le cose e le persone gli si stavano rivelando. Mi chiedevo come facesse ad essere così “saggio” e un giorno, ascoltando una Messa, l’ho capito: un brano delle Sacre Scritture diceva: ”La saggezza è di chi contempla Dio”. Certamente lui lo contemplava; era questo ciò che traspariva dai suoi occhi: la contemplazione mistica di Dio. Questa, che era stata lo scopo unico della sua vita, lo aveva portato tanto vicino al mistero divino da diventarne egli stesso una espressione.
La sua sopravvivenza tra tante sofferenze era sì incredibile, ma ancora più incredibile era la sua vicinanza al Paradiso. Solo adesso capisco la sua ”saggezza” era semplicemente la confidenza con il Padre.
Ho letto nella vita di Santa Margherita Alacque, un brano che mi sembra perfettamente adatto ad esprimere ciò che zio Aldo pensava della sua vita. Ella dice: ”Lo spirito di Dio spira dove vuole, e si comunica a chi meglio crede e nel modo che più gli piace, e si sceglie alle volte per strumento delle sue meraviglie quel che vi ha di meno illustre nel mondo, o meglio quello che appare più spregevole agli occhi di coloro che solo stimano le grandezze mondane, fa ciò per confondere l’umana sapienza, per dimostrare che tutto è subordinato al Suo supremo volere, e che senza il concorso degli uomini, anzi loro malgrado, i Suoi disegni si compiono e trionfano vittoriosi di tutte le contraddizioni”.
Così è stato per zio Aldo: la sua vita è stata scelta da Dio perché egli aveva un animo umile e gioioso come quello di un fanciullo, e proprio con l’entusiasmo di un fanciullo, quale egli era quando Dio lo ha chiamato nella famiglia dei Carmelitani, ha vissuto ogni giorno le sofferenze che la malattia gli procurava. Ciò che per noi tutti, quindi, è spregevole, e cioé il dolore, è stato lo strumento delle meraviglie di Dio, la via scelta da zio Aldo per avvicinarci a Lui e contemplarlo come solo i mistici sanno fare. Egli si è lasciato condurre senza esitazioni, rimettendosi in tutto al volere di Dio, certo che gli avrebbe procurato solo del bene.
Madre Teresa, sorella spirituale e corrispondente epistolare per 40 anni di zio Aldo, in una lettera datata 1 febbraio 1983, gli scriveva: ”Al buon Dio bisogna dire sempre di sì, le nostre vie non sono nelle nostre mani, ma noi siamo nelle mani di Dio, e si cammina nelle Sue vie … misteriose vie, ma tutte portano il sigillo del Suo amore di Padre. La, cosa essenziale è camminare al passo di Lui e posare i piedi dove Lui li posa”.
Leggendo il seguente passo della lettera ai Galati (2,20) si comprende meglio quale fosse la sua vita: “Sono stato crocifisso con Cristo e non più io vivo, ma Cristo vive in me. Questa vita che vivo nella carne io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me”.
Tutto ciò rappresenta per me uno dei più importanti insegnamenti ricevuti da zio Aldo ed anche uno dei più difficili da attuare. Spesso, infatti, ci è difficile capire che ogni sforzo umano ha un senso solo se asseconda la volontà di Dio. Una volta, qualche mese prima di morire, mi disse una cosa che non dimenticherò: ”Ricorda: umiltà e tenacia, fede e speranza”. Queste erano le virtù su cui avrei dovuto basare tutta la mia vita. Ed è un invito più che un insegnamento, che può essere rivolto a tutti, affinché la propria vita diventi più luminosa, proprio come la sua, sempre vicina alla volontà del Padre nostro. Pasquale De Lisio».
Sergio D’Andrea