Una delle fotografie aeree donatemi dall’amico Enrico Del Pizzo, che ha arricchito il mio libro – 1943 Roccaraso kaputt! – mi consentì di scoprire una postazione di contraerea tedesca realizzata sui fianchi di Monte Zurrone, che è ancora lì, evidente e consumata dal tempo che trascorre.
Un nuovo libro sugli avvenimenti di quel drammatico periodo – Castel di Sangro 70° anniversario della distruzione – dell’altro amico Alessandro Teti, ricco di documenti e immagini inedite, riporta brevemente anche alcuni momenti di guerra accaduti quassù. Tra questi, con sorpresa, ho trovato l’immagine dello Spitfire abbattuto dai soldati di quella contraerea, corredata dalle relazioni originali, tedesche ed alleate.
Così ho voluto prendere la parola impersonando il pilota che fu colpito. Ho immaginato e descritto quell’azione di guerra, fondendo realtà e fantasia e rendendo verosimile la missione aerea. Un’azione di guerra però molto attinente a ciò che accadde in quei lunghi mesi di occupazione tedesca del territorio degli Altopiani Maggiori d’Abruzzo. Soprattutto nel primo periodo in cui ferveva la fase di costruzione degli sbarramenti, minamenti e postazioni di difesa. I lavori erano compiuti dall’Organizzazione Todt che si serviva degli uomini reclutati nei paesi vicini e dai genieri dei Paracadutisti della 1^ Divisione Heidrich. Venne contrastata quotidianamente, appunto, con precise incursioni aeree degli alleati.
Nonna Margaret diceva che sognare le antilopi in autunno porta fortuna e io oggi di fortuna vorrei averne proprio tanta, vista la missione particolarmente pericolosa che tra un po’ devo affrontare. Prima di svegliarmi ne ho sognata una che saltava allegramente nella savana. In Italia è pieno autunno, ma le giornate particolarmente miti mi ricordano che adesso nel mio Sud Africa è primavera.
Mi chiamo Donald James Campbell, sono un pilota di caccia e combatto in Italia per gli Alleati contro l’esercito tedesco attestato sulla linea Gustav. Oggi è l’8 novembre 1943 e devo andare in missione con uno dei dodici Spitfire MkVc sudafricani del 4th Squadron SAAF di stanza a Palata, un piccolo paese del Molise, dove gli alleati hanno realizzato un aeroporto avanzato per i caccia, dotato di una lunga spianata resa scorrevole da pannelli in metallo lamellato.
Il briefing di ieri sera ci ha messi di fronte a una missione particolarmente pericolosa. In Abruzzo dobbiamo distruggere alcuni ponti ferroviari sul tratto che va dalla galleria Tre Croci prima di Roccaraso a quella del Macello di Rivisondoli. Ce n’è uno, in particolare, denominato “Dieci Ponti” per via di dieci archi che lo compongono, è il più grande, ma il più pericoloso da colpire, perché è dominato da due batterie antiaeree Flak che incrociano il tiro sui voli che attraversano proprio in quel punto il valico chiuso ad imbuto sotto il paese di Roccaraso, una nota località sciistica degli Appennini.
Questo paese si trova al centro della linea Gustav. Su una serie di fotografie aeree scattate qualche giorno fa dai nostri ricognitori, abbiamo individuato i quattro ponti più piccoli che sono stati assegnati ad altrettanti aerei carichi con una bomba da 500 libbre, oltre a due aerei che dovranno mitragliare le due postazioni antiaeree poste una di fronte all’altra; mentre gli altri sei aerei dovranno distruggere i Dieci Ponti con bombe da 1.000 libbre.
L’arrivo degli aerei sui punti da colpire avrà questa sequenza: i primi sei giungeranno con qualche minuto di anticipo aggirando il Monte Arazecca per dividersi all’imbocco del Piano dell’Aremogna; due si dirigeranno immediatamente verso cima di Monte Maiuri che sovrasta il valico e scenderanno in picchiata alla sua base per mitragliare le due postazioni contraeree Flak sotto Roccaraso e poste una su un piccolo spiazzo alla base del monte, l’altra sul lato opposto del valico; mentre gli altri quattro aerei proseguiranno sotto la cima di Monte Zurrone per scendere progressivamente di quota dall’altra parte dell’altopiano e con un’ampia virata sorvolando Rivisondoli si allineeranno alla linea ferroviaria per colpire in sequenza i ponti più piccoli.
Gli altri sei aerei arriveranno direttamente a raso all’imbocco sud dell’altopiano e in sequenza sganceranno le bombe sul grande ponte posto sotto il paese. È una operazione complicata, perché deve essere eseguita in maniera coordinata e in modo tale che, provenendo gli aerei da più parti il nemico rimarrà disorientato.
Attualmente in quel tratto della linea Gustav sono attestati i Paracadutisti tedeschi della 1^ Divisione Heidrich e ci hanno ricordato che sono tra i migliori reparti della Wehrmacht. Che Dio ce la mandi buona, perché temiamo che qualche altra postazione contraerea sia stata collocata in punti sconosciuti.
L’intelligence e le rilevazioni aeree hanno compiuto un buon lavoro di ricerca, ma le montagne coperte da una fitta vegetazione ben si prestano a nascondere ogni cosa e i tedeschi in quel tratto sono stati molto bravi a fortificarle in maniera adeguata.
Sono le 5,30 all’aeroporto nei pressi di Termoli e nella baracca adibita a mensa alcuni civili del posto, reclutati a far servizi, ci stanno servendo la colazione: uova strapazzate, pane tostato, biscotti preparati dal forno di Palata con marmellata di fichi; the a volontà. Noi piloti siamo privilegiati, sappiamo che per chi si trova in prima linea la vita è ben diversa, ma volare sulla prima linea è altrettanto pericoloso.
Ci apprestiamo ad alzarci da tavola e dalla saletta ufficiali sopraggiunge il maggiore Waderg, già pronto, che ci richiama ai suoi ordini e velocemente ribadisce ad ogni pilota la sequenza di volo degli aerei, e lo schema di attacco concordato. Io faccio parte del gruppo di quattro aerei che dovrà abbattere i ponti più piccoli e volo in quarta posizione per colpire il ponte prima della galleria che immette verso la stazione di Rivisondoli.
Gli aerei del campo sono una trentina e i nostri Spitfire sono schierati per primi, carichi già di carburante. Il mio ha la sigla KJ-R e come gli altri reca disegnata sullo stabilizzatore verticale l’antilope, simbolo del reparto. Mi accorgo che per uno strano gioco della luce mattutina è l’unica già illuminata dai primi e bassi raggi di sole. Che sia un buon segno. Lo spero proprio.
La partenza dei primi sei aerei è fissata per le 7,00, mentre gli altri sei seguiranno con cinque minuti di ritardo. Ci fermiamo ancora un po’ sulla pista vicino agli aerei per continuare a mettere a punto le varie fasi dell’attacco, ripercorrendo le manovre che ognuno dovrà compiere appena sorvolato il fiume Sangro che segna la linea di combattimento principale dividendo i due eserciti in guerra.
La discussione è minuziosa e il momento della partenza arriva in un batter d’occhio. Io prima di salire guardo, senza volerlo, ancora una volta l’antilope. Mi rendo conto che è diventata quasi una piacevole ossessione. Vorrà dire che mia nonna mi sta pensando.
Siamo in volo da una decina di minuti dopo aver preso una leggera quota verso il mare Adriatico con una repentina virata che ci ha consentito di incanalarci dentro la Valle del Trigno fino a girare verso destra per sorvolare l’abitato di Agnone e poi quello di Capracotta; in quel punto inizierà la missione vera e propria essendo arrivati sulla riva sud del Fiume Sangro occupata dagli Alleati; di fronte ci sono le montagne che circondano gli Altopiani Maggiori d’Abruzzo.
Superata Capracotta, quasi a toccare il campanile della chiesa, aumentiamo al massimo la velocità e il primo pilota dei sei aerei che precedono, informa il comandante, alla guida del primo aereo del secondo gruppo, che ci stiamo dirigendo verso ovest per aggirare il Monte Arazecca. L’esecuzione della manovra di sorvolo della montagna è così repentina che dalle postazioni poste sulla cima i primi colpi di mitragliatrici raggiungono il cielo quando ormai siamo già passati.
Da quel punto i primi due aerei raggiungono la cima di Monte Maiuri per scendere in picchiata a mitragliare le due postazioni antiaeree; li perdiamo immediatamente di vista. Noi quattro aggiriamo Monte Zurrone e abbassiamo la quota fino a sorvolare il Valico di Portella. Io mi distanzio leggermente compiendo una leggera curva per affiancare l’abitato di Rivisondoli e allineare l’aereo verso il ponte ferroviario posto prima della galleria Macello. Individuo immediatamente la ferrovia e il ponte ad unico arco; è piccolo e basso. Per essere sicuro di colpirlo scendo fino a 300 piedi.
Appena il tempo di pensarlo e con la mano schiaccio il pulsante per liberare una grossa bomba che lo colpisce in pieno. Faccio un’ampia virata e mi accorgo che nei paraggi un gruppo di tedeschi, peraltro ben mimetizzati nel terreno, che non avrei potuto vedere se avessi volato appena più alto, stanno compiendo delle operazioni lungo la strada che sale a fianco della ferrovia. Non lascio sfuggirmi l’occasione e mi preparo a mitragliare lungo tutto l’asse stradale per poi risalire in quota per la direttrice Monte Tocco, fiume Sangro, Palata.
Effettuata una virata completa allineo l’aereo all’asse stradale e guardando sulla sinistra mi rendo conto che anche gli altri ponti più piccoli sono stati abbattuti, l’ultimo è a ridosso di Roccaraso. Più in là lo scontro aereo per distruggere i Dieci Ponti è in pieno corso e si notano grandi nuvole di polvere alzarsi nell’aria, che per via dei forti scoppi sposta leggermente l’aereo. La missione è andata a buon fine.
Apro il fuoco lungo tutto il tratto stradale trovandomi immediatamente di fronte alla montagna, quindi prendo quota, ma nel frattempo da una spianata sul fianco della cima più alta inizia a sparare una contraerea. Porca miseria! Ecco la sorpresa. Doveva capitare proprio a me. Non faccio in tempo a rendermene conto che, alzando ancor più velocemente l’aereo, sento lo schianto di alcuni colpi che si infilano da qualche parte. Immediatamente le lancette di alcuni strumenti impazziscono e vedo uscire carburante a fiumi da un’ala, l’altimetro funziona. Una prima fortuna, non c’è traccia di incendio. Ma l’aereo incomincia a vibrare maledettamente e perdo quota, anche il motore incomincia a perdere giri. Mi rendo conto che l’unica possibilità di salvezza è di atterrare con tanta altra fortuna proprio in mezzo a quel grande prato.
Così, mentre il crepitio dell’antiaerea è incessante, compio un’ampia virata con il motore che incomincia a singhiozzare maledettamente. Riesco gradualmente e con grande difficoltà ad allinearlo al manto erboso. La contraerea non spara più, hanno visto che sto tentando l’atterraggio. Così facendo mi accorgo che il cuore batte forte e sembra voglia uscire dal petto. Sono operazioni compiute in brevi secondi, ma all’improvviso mi torna in mente lo sguardo lanciato verso il timone sulla pista dell’aeroporto: l’antilope! Altro che fortuna. Io, l’uomo che ha sognato l’antilope nell’autunno del Sud Africa sto precipitando.
Porca miseria! In un attimo ritorno alla realtà più diretta della guida dell’aereo. Incomincio ad urlare: devo salvarmi! Devo salvarmi! E mi torna davanti agli occhi il primo istruttore di volo, il buon Halker che spiegandoci come tentare di atterrare in situazioni del genere ci urlava ogni operazione da eseguire. Le sto eseguendo tutte. All’improvviso il motore si ferma, guardo l’altimetro, ancora 300 piedi; sono troppi.
Però mi accorgo che con il movimento dei flap sono riuscito a stabilizzare questo benedetto aereo, lo sto portando giù come un aliante, sembra un aliante. Mi meraviglio di me stesso. Urlo nuovamente per farmi coraggio, per far schizzare l’adrenalina nelle vene. Cavolo Donald James! Ma ti rendi conto con quale sangue freddo stai compiendo manovre semplici ed efficaci? Bravo! Forza, continua così, solo trenta piedi e tocchi terra.
I soldati che avevano tentato di ripararsi in qualche maniera, vedendo gli altri aerei allontanarsi, sono scesi lungo la china di un colle che stanno minando e vengono incontro al mio aereo che si abbassa ancora. Gli passo sulla testa e sembra di toccarli, non li vedo più sono dietro, l’aereo è a meno di dieci piedi, è parallelo al suolo del grande piano. Ce l’ho fatta. E incomincio a gridare ancora più forte: ce l’ho fatta! Sono salvo! I raggi del sole mi balzano davanti agli occhi, quasi mi accecano e mi appaiono sfocati i contorni dell’antilope. L’antilope di nonna Margaret. Nonna Margaret aveva ragione. L’antilope in autunno, un maledetto autunno di montagna.
E mentre la visione dell’antilope svanisce sento un fruscio sotto la carlinga, è l’erba. È l’erba! Il morbido fondo del prato mi ha accolto dolcemente come la savana riceve morbidi, che quasi non la toccano, gli zoccoli dell’antilope che salta. È fatta, maledetta contraerea. Che sia maledetta la guerra!
Raus! Raus! Raus! Fuori! Fuori! Fuori! Furono queste parole a ricollocarmi nella realtà, dopo che mi ero abbandonato sul seggiolino con gli occhi sbarrati guardando il cielo e cercando non più la sagoma dell’antilope ma il volto umano e paterno del Signore. Invece apparvero all’improvviso due volti sovrastati dall’elmetto. L’elmetto dei paracadutisti tedeschi. I quali con la pistola in mano aprirono il tettuccio e mi obbligarono a saltare giù. Mentre giungevano e svanivano inesorabilmente i flebili rumori degli undici aerei che tornavano a Palata.
Tenente Donald James Campbell