San Giorgio la Molara, comune montano della provincia di Benevento, ospita un rilevante nucleo di bovini marchigiani, tant’è che da 15 anni il comune organizza la “Festa della Marchigiana” contribuendo a rendere noto questo territorio per la produzione di carne IGP proveniente dai bovini di questa razza allevati sui suoi pascoli.
La Marchigiana, originaria delle Marche, è allevata soprattutto in questa regione e nelle regioni limitrofe, come Abruzzo, Molise, Lazio e Campania. Deriva da incroci di bovini di ceppo Podolico di origine asiatica giunti in Italia nel IV secolo d.C. con le invasioni barbariche, con soggetti di razza Chianina e Romagnola.
Nasce come razza da lavoro e così è utilizzata nelle campagne fino al dopoguerra. Ma già a partire dal 1932 ha quindi avuto inizio un’accurata selezione che ha portato alla formazione dell’attuale razza Marchigiana.
Attualmente è la terza razza da carne in Italia dopo la Piemontese e la Chianina e la sua carne è di qualità ottima, con eccellente marezzatura e tenerezza, di ottimo sapore, elevato contenuto proteico e dai bassi livelli di colesterolo.
È magra e rispetto alle altre carni in commercio contiene una minore percentuale di acidi grassi saturi, come l’acido miristico e palmitico, e una maggiore quantità di acidi grassi monoinsaturi (acido oleico). Anche l’acido linoleico e linolenico sono presenti in maggiore quantità nella carne di razza Marchigiana rispetto alle altre carni in commercio.
L’ottima capacità di adattamento e la sua rusticità ne fa un bovino ideale per il pascolo in terreni difficili, e quindi un veicolo di recupero e valorizzazione economica dei cosiddetti “terreni marginali” o meglio montani. Questa peculiarità e la lungimiranza degli allevatori di San Giorgio hanno consentito di mantenere nelle contrade famiglie di allevatori e quindi custodire, conservare il territorio e preservarlo dall’abbandono.
San Giorgio è la dimostrazione che semplici allevatori hanno saputo adattare all’orografia sfavorevole, avversa, dura e spesso ostile una razza di bovini “nata” per questi ambienti e addirittura hanno realizzato “un modello” coordinato di risposta per evitare che le singole parti del “sistema” operino l’una contro l’altra e diano una risposta nell’interesse comune.
Viceversa altrove progetti supportati con notevolissime risorse finanziare a favore di istituzioni tecniche e di ricerca, hanno promosso e consigliato in zone montane la diffusione capillare di razze di bovini ad alta produzione di latte adatte alle pianure. In questo modo sono state messe in concorrenza le zone montane vocate ad accogliere razze adatte ai pascoli con razze allevate in allevamenti industriali della pianura.
Gli allevatori delle zone montane con la scelta “politica” della graduale industrializzazione del comparto e quindi crescita del numero di capi e della produzione per azienda hanno abbandonato l’utilizzo delle risorse territoriali (pascoli, prati) con massiccio ricorso a materie, merci e beni extra-aziendali subendo il conseguente aumento dei costi di produzione del latte e conseguentemente continui indebitamenti che hanno portato alla chiusura delle aziende e all’abbandono delle campagne.
San Giorgio la Molara con l’allevamento della razza marchigiana da anni costituisce un riferimento nazionale per l’utilizzo del territorio montano e di aree disagiate e la produzione di carni pregiate. Ancora oggi 140 aziende operano nel comune.
Tuttavia per preservare e migliorare il “sistema San Giorgio” è necessario minimizzare il rischio legato all’incertezza del prezzo dei prodotti agricoli, mediante l’internalizzazione delle attività di trasformazione e commercializzazione, la valorizzazione degli strumenti e prodotti propri quali il lavoro, le conoscenze, le caratteristiche specifiche del territorio e delle risorse agronomiche. Gli investimenti, anche quelli di tipo tecnologico, vanno orientati alla valorizzazione innanzitutto del lavoro familiare e delle conoscenze e solo dopo e con intelligenza verso la remunerazione del capitale (aziende produttrici di macchine e prodotti dell’agricoltura industriale), dove il lavoro risulta essere indifferenziato e sostituibile.
Il tipo di allevamento presente a San Giorgio (solo il 10% circa degli allevamenti presenti ha un numero di capi tra 50 e 100 tutti gli altri ospitano meno di 50 capi) è quello che non crea costi sociali (costi per altri, diseconomie) che di fatto poi influiscono sul prezzo del prodotto “esternalizzando” sulla società parte dei costi di produzione. La multifunzionalità del modello di fatto crea solo “esternalità” positive che incorporano nei prodotti (animali e carni) nuove funzioni, differenti da quelle esclusivamente nutrizionali ma anche nutraceutiche, ambientali, sociali ed economiche.
Insomma abbiamo prodotti con un mercato diverso da quello tradizionale che mai affronta i costi delle risorse degradate, l’agricoltura e l’allevamento estensivo è sempre orientato al miglioramento delle risorse naturali, territoriali e di salute degli animali e dell’uomo. Per cui appare naturale che nel prezzo del prodotto/servizio devono essere incorporate tutte le esternalità positive.
In questi casi non è rilevante il comportamento individuale dei singoli allevatori ma è l’area delle istituzioni che deve influire sulla trasparenza delle informazioni e sulla produzione di carni ed animali di pregio e tipici. A San Giorgio evidentemente nel corso degli anni c’è stato quantomeno un affiancamento agli allevatori di: Comune, Assessorati regionali, ASL, Associazione Allevatori, ecc. questo ha condotto molti allevatori ad aderire al Consorzio di Tutela del Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale.
Questa rete di commercializzazione deve condurre, allora, a far diventare il prezzo equo del prodotto un indicatore informativo efficiente (garantito da istituzioni) affinchè le differenze qualitative, in questo caso delle carni e animali, possono essere valutate esattamente dai consumatori.
La scelta del consumatore infatti non deve essere assunta su basi concorrenziali condizionate dalle quantità di produzioni e modalità di vendita ma discendere da una tipologia di scelta fatta “a monte” che riconosce al prodotto un processo produttivo rispettoso del territorio e della salute degli animali, delle condizioni di vita degli allevatori, del ruolo delle comunità delle montagne dell’Appennino, dei cicli della natura, dei terreni coltivati e dell’elevato valore nutraceutico dei prodotti finali.
L’esperienza della comunità Sangiorgese ha il merito di aver dimostrato che queste qualità possono essere coniugate nell’allevamento del vitellone tipico connettendolo strettamente alle tradizioni del territorio, alle sue caratteristiche di razza ed ambientali e con il giusto e necessario apporto di tecnologie e conoscenze scientifiche.
Ma la esclusiva determinazione e volontà degli allevatori per quanto importanti, non basta a far sopravvivere il “sistema” se questi sono abbandonati a loro stessi, esposti ai “prezzi del mercato di riferimento” e a vere “follie burocratiche”. Nel mondo del mercato concorrenziale la valorizzazione dei prodotti tipici può avvenire solo attraverso un prezzo più elevato rispetto a prodotti analoghi considerati di livello qualitativo inferiore. Fino ad oggi a San Giorgio sono riusciti a far riconoscere il valore del vitellone marchigiano sia alle comunità locali che ad altri territori.
Infatti, poiché, il numero di animali allevati eccede di molto le richieste del territorio non sempre è riconosciuto economicamente in mercati geograficamente distanti, che pur conoscono l’elevato valore soprattutto nutraceutico delle carni della razza marchigiana. Probabilmente sono gli operatori commerciali intermedi che acquistano vitelloni di altissimo pregio ma lo immettono sul mercato in concorrenza con carni ottenute da allevamenti industriali.
È di tutta evidenza che le carni di vitellone marchigiano necessitano di una differenziazione che sempre più spesso richiede l’intervento regolatore delle istituzioni come nel caso delle Dop e Igp che di fatto portano il mercato ad un legittimo e logico “monopolio” conseguente a disciplinari di produzione e aerali geografici di provenienza che limitano il “mercato delle indulgenze” laddove molte bistecche sono spacciate per marchigiane.
Concludendo si può affermare che territori e comunità come San Giorgio la Molara possono continuare ad esistere e resistere allo spopolamento e all’abbandono dei territori solo attraverso l’utilizzo dell’agricoltura tradizionale, dei pascoli, dell’allevamento estensivo, delle razze autoctone come la marchigiana o di altre specie come gli ovini ed i caprini.
L’allevamento della marchigiana può essere preso a modello per la rinascita di altre comunità della montagna appenninica solo se non opera come un soggetto in concorrenza con i prodotti dell’allevamento industriale ma come “monopolio” che garantisce un profitto ed un reddito agli allevatori.