Lo diciamo da tempo e le vicende della politica confermano la bontà del detto: In Politica quello che si dice oggi è vecchio già l’altro ieri. – Il governo Meloni si proclama sin dalla sua prima uscita, governo del fare, del cambiamento, delle nuove regole democratiche, della vicinanza al popolo. Con una campagna elettorale durata anni il premier invocava l’uscita dall’Europa, l’abolizione dei balzelli da macello per il popolo italiano, l’incentivare di una politica all’insegna della condivisione democratica, all’insegna dell’orgoglio Italiano. Attualmente di tanto eco una sola cosa balza alla constatazione: Il nulla!
Il carburante sfonda cifre del tutto incongruenti con il resto d’Europa, l’Europa è sempre più padrona della politica italiana con decisioni al limite della rivolta popolare, i balzelli sono triplicati, la sanità è in cerca di una nuova era, l’autonomia differenziata incombe senza considerare la indisponibilità di fondi, la condivisione è ormai segno di un sogno svanito, la sovranità italiana in mano agli Stati Uniti che ci impongono di armare guerre sempre più costose, a discapito di sostegni interni.
Una manna che a parole avrebbe visto tempi brevi, e che invece non si è tramutata in pane, ma in solvente atto alla purificazione delle decantate buone intenzioni. Ci vien da saltar il ballo del qua qua, come insegnatoci da Amadeus e Fiorello nello sbeffeggiare la dote di gran ballerino del Travolta di Grees, ma forse Orietta Berti rende più pan che focaccia con la sua: “Fin che la barca va, lasciale andare”. Meloni, di quella barca ha perso i remi che in mano a Matteo Salvini, Lollobrigida, Fitto e Piantedosi, hanno fatto sì che la stessa si sia spiaggiata in Sardegna con un carico di clandestini che al momento opportuno hanno ribaltato lo scafo ponendo una croce sulla barca, più nuova solo nella chiglia, di proprietà della ritrovata alleanza PD/5Stelle, che non dimentichiamolo, di quei remi ne ha fatto ancor prima degli fortunati vogatori, propri timoni.
La sconfitta brucia ancor più, dopo che il ministro delle eccellenti scelte, Fitto, ha promosso la Sardegna, regione a statuto autonomo, a traino della Zes Unica, togliendo ossigeno a regioni a statuto ordinario, e soprattutto, sovvertendo l’amore di un figlio per la propria Puglia. La stagione dell’amore viene e va/i desideri non invecchino quasi mai con l’età/ Se penso a come ho speso mali il mio tempo/Che non tornerà, non tornerà più! Così cantava Franco Battiato. Pari pari avranno pensato i Sardi, testa dura e orgogliosi della loro cocciuta propensione a non essere presi in giro, nel porre la croce sulla casella elettorale. Gli isolani si sa, soffrono della condizione di essere lontani dal continente e nell’affermarsi la Corsica d’Italia, dove le battaglie democratiche sono improntate sulla rivoluzione pacifica e dallo spargere letame per donar concime alla verità di una politica che sempre più sa di sberleffo e di sottomissione alle multinazionali, alle lobby e alle banche.
Corporazioni, queste, che di Italia ne contengono ben poca cosa. Gridare vendetta dall’urna elettorale e astenersi sempre più dal voto, dichiaratamente è il fallimento della politica, a prescindere del vincitore o dell’ammutinato d’armi. Ormai tutto ciò è diventata l’unica operazione chirurgica per urlare lo sdegno dei cittadini. La sinistra come sempre, ne esce vincitrice anche nella sconfitta, i 5 stelle profilano un’ondata di balconate dalle quali sventolare le loro stelle cadenti e omologate al politichese, la destra fa finta di non scomporsi con il non cambia nulla, tanto – chi ci caccia dal governo? –
Domani sarà un altro giorno e da subito si troveranno le strade per convergere operazioni volte al riscatto, alla convinzione che poi, del resto, che vuoi che sia perdere una regione a favore di chi ha il lumicino da rimpinguare e non ha la maggioranza assoluta per governare in maniera serena e duratura? Strategie che cambieranno in dirittura d’arrivo, alleanze prima abortite, poi partorite, differenze che cambiano pelle e si mostrano lustrate per una festa che avverrà per chi si troverà a sedere su scranni d’oro, ma anche il solito miraggio per chi, dalla povertà e dalla durezza della vita, ne ha sortito solo calli e duroni che atroci dolori pongono al pianto della sofferenza.
I contadini saranno ancora buttati giù dai trattori, le corporazioni a loro difesa, continueranno a far finta di lottare per favorirne il sostegno per poi aprirsi alle operazioni di intermediazione bancaria, all’acquisto lobbysta di semi e di innovatori; gli operai continueranno a essere condizionati da scelte condivise dai sindacati che lasciano spazio a interpretazioni e non a concrete assunzioni di responsabile difesa della dignità connessa al lavoro; la scuola perderà sempre più la C in favore della Q; la sanità sarà sempre più per soli ricchi; le pensioni sempre più di fame; le tasse saranno sempre più per soli poveri e sempre meno rispettose di chi è costretto a stringersi i pantaloni con corde e non più cinte di cuoio.
Todde non Todde, la Sardegna ha suonato la tromba del disprezzo per la politica e presto tale tromba tornerà a tuonare in Abruzzo, in Calabria e nelle regioni, come il Molise, dove si tornerà alle urne per eleggere scelleratamente e non democraticamente i consigli provinciali e molti sindaci. Le alleanze sono poco sicure e molto torbide nel ricondurci alla politica, quella vera che in maniera avvincente, vedeva le genti partecipare con afflato e reattività. Forse è davvero l’ora di uscire allo scoperto e donare la propria candidatura partendo da principi nobili e di partito. Le liste civiche si dimostrano sempre più il disastro della politica, fanno comodo a tutti, nessuno escluso. Vedasi Termoli e Campobasso dove i candidati, almeno quelli dati per certi, sono espressione di tutti e tesserati di nessuno.
Tutti son e saranno vincitori, tranne il popolo che è costretto a subire e tornare mestamente a pensare che tutto ormai è sbagliato. A Termoli il candidato sindaco Mileti gioca la carta del campo larghissimo e chissà, dopo il congelamento sospensivo da ogni carica della già deputata DEM Laura Venittelli, in palese disaccordo con le scelte del partito, cosa dovrà ancora accadere.
Il nuovo segretario del Partito Democratico, il bravo Ovidio Bontempo, non avrà sicuramente vita facile per dirimere le bolge interne che ormai da tempo affievoliscono l’azione di sinistra di un partito sempre più senza identità. Non sarà facile alla miriade di segretari politici del centro destra che dalla lotta traggono sempre un seme e non una pannocchia d’agostinello, il miglior mais per la produzione di farina atta alla polenta dall’identità molisana certificata. Siam piccoli ma cresceremo? Ormai, di piccolo è rimasto solo il Molise, la gente è fin troppo cresciuta, l’autonomia andrà ben presto a farsi fottere e, anche in tal caso: – Fin che la barca va, lasciala andare, meglio non remare e arrivare a spiaggiare ove ci porta il mare. –
Maurizio Varriano