L’ululato, così come viene riportato nei vocabolari in uso, è il verso caratteristico del lupo, di origine onomatopeica, simile a un urlo prolungato, lamentoso. Questo ancestrale richiamo, che da sempre suscita timore e rispetto reverenziale, in questa nuova rubrica cui si vuol dar vita, non vuole sottolineare in alcun modo la rigida gerarchia del branco, bensì l’utilizzo comunicativo che il lupo ne fa sia per rendere nota la sua posizione sia come richiamo sociale verso gli altri.
“Luogo” e “Sociale”, due parole che nello spazio fisico dello stadio si fondono e si trasformano in appartenenza, come senso di inclusione e di abbattimento di qualsiasi differenza. Lo stadio infatti, rappresenta oggi, in seno ad una società sempre più accecata dalla mera logica del profitto, l’ultimo luogo di socializzazione, dove l’amore e la passione per la maglia della squadra della propria città ha lo straordinario potere di abbattere qualsivoglia diversità culturale, religiosa, sessuale, sociale e politica, dove si gioisce e si piange insieme.
Nelle piccole realtà di provincia come quella di Campobasso, la squadra di calcio non è solo una squadra di calcio, ma rappresenta spesso uno dei pochi mezzi di riscatto e di sdoganamento della propria immagine verso palcoscenici e conoscenze più ampie – diceva Pietro Santin, allenatore negli anni’80 della Cavese, e prossima avversaria dei Lupi: «Il Campobasso si sente paladino di una intera regione». Di conseguenza, dedicare una rubrica alle gesta domenicali e non solo, di una squadra che rappresenta ben’altro che il solo gioco del calcio, per noi non è solo un piacere, ma un vero orgoglio.
Antonio Salvatore