
Potrei intitolarlo così un libro, se mai decidessi di scriverlo, per narrare tutto ciò che mi è accaduto e nevicato addosso da quando misi mano a “La Slittovia di Roccaraso, dicembre 1937“. Personaggi, immagini, documenti, giornali, che ho conosciuto, guardato con sorpresa e meraviglia e usato per le successive pubblicazioni che ho compiuto.
L’immagine che più mi è rimasta impressa nella mente è la fusione di un uomo piccolo, ma grande per quello che fino ad allora aveva compiuto, che cammina verso di me, e la moltitudine di persone in attesa di ricevere quel libro, che si aprono lasciando a lui un varco, un po’ come la scena del film I Dieci Comandamenti, quando il Mar Rosso si apre.
Lo salutai pronunciando il suo nome e lui rimase sorpreso, non pensava che lo avessi riconosciuto. Mi strinse la mano e io con l’altra gli feci omaggio della mia piccola opera. Mi disse queste testuali parole: <<Bravo! Hai avuto un’idea brillante, raccontare il primo impianto di risalita al servizio dello sci, nessuno fino ad oggi aveva mai pensato di farlo in maniera così dettagliata>>. (La slittovia che segue è quella del Col Alt a Corvara).
Mi pervase un pizzico di orgoglio, misto a tanta emozione, davanti a lui, l’impiantistica dello sci in Val Badia in persona, attorniato dagli impiantisti italiani, giunti da ogni parte a Montesilvano a metà maggio del 2002, per la loro assemblea annuale.
Mi aveva invitato Aldo Del Bo, direttore della rivista Professione Montagna, al quale avevo inviato una copia del libro pochi giorni prima per la recensione sulla rivista. E di una copia del libro ne feci omaggio ad ognuno di loro. Roccaraso dagli Appennini alle Alpi.
Dopo dieci giorni ero in Val Badia, Erich mi aveva invitato e in quei giorni aveva iniziato la sostituzione della vecchia funivia con una telecabina ad agganciamento automatico. Mi spiegò per filo e per segno quello che considerava un po’ l’emblema della sua opera quasi sessantennale di costruzione degli impianti in quel luogo stupendo. Quell’impianto aveva un valore particolare per due ragioni.
La prima è che serve la pista Gran Risa, famosa per il suo slalom gigante della Coppa del Mondo di sci Alpino. La seconda e che la sua progettazione aveva visto coinvolto il suo ufficio tecnico con la ditta Leitner, fornitrice dell’impianto, per alcune soluzioni tecniche d’avanguardia messe in discussione dall’istituto tecnico di omologazione. Tutto si risolse a suo favore.
Da quei giorni, e negli anni a seguire non c’è stato un Natale in cui non ci siamo scambiati gli auguri. Lui da giugno 2018 non c’è più (era nato lo stesso anno di mia madre), ed è stato sostituito dal nipote Andrea Varallo, figlio di Marcello, discesista della “Valanga Azzurra”.
Andy, così tutti lo chiamano, lo scorso anno è stato nominato presidente del consorzio Dolomiti Superski, del quale il nonno era stato fondatore.
Alcuni anni fa Andrea si è sposato e gli inviai un piccolo omaggio per la moglie, degli orecchini che rappresentavano due seggiole di seggiovia, opera dell’amico orafo Franco Coccopalmeri. “Dagli Appennini alle Alpi”. Oggi mi è arrivata la sorpresa, il libro dei cinquant’anni del Dolomiti Superski. “Dalle Alpi agli Appennini”.
Grazie! Andy.
Ugo Del Castello




















