<<Di somma importanza, ai fini della valorizzazione turistica della località, appare l’opera di una “Società Anonima Roccaraso” recentemente costituita, che intende costruire ed affittare o vendere minuscoli villini smontabili, forniti di tutte le più moderne comodità. Questa S.A.R. ha anche un’altra idea da realizzare, che ai nostri occhi riveste importanza assai superiore a quella dei villini Lilliput…>>.
E qui mi fermo di trascrivere alcune pagine del mio libro Cinque Miglia di Nostalgia, laddove vengono descritti, nel corso degli anni Trenta, i propositi di sviluppo dell’attività turistica e di ospitalità di Roccaraso. Chi vuole e lo ha conservato leggendolo può apprendere tanti particolari e curiosità.
Alcune iniziative furono portate a termine, come la Casa dello Sciatore e il primo impianto di risalita per lo sci. Altre, come la pista di pattinaggio ed il disco su ghiaccio, furono bloccate dall’arrivo della Seconda Guerra Mondiale che trovò quassù una delle massime espressioni funeste in Italia: Roccaraso fu completamente distrutta e a Pietransieri, la frazione di Roccaraso, ben 128 abitanti furono trucidati dai tedeschi. Insomma, fino a quel momento c’era una Roccaraso viva e vegeta, proiettata ad entrare nel firmamento delle migliori località della montagna italiana. Ma in fondo già lo era con sette alberghi, varie pensioni, un rifugio in quota e molte stanze in affitto.
La riflessione che viene spontanea è che, nonostante l’esistenza di una fervida attività alberghiera, la comunità roccolana aveva individuato per il più complessivo sviluppo di ospitalità turistica e sciistica anche la costruzione di alloggi, quelli che successivamente e nel corso del loro dissennato sviluppo hanno assunto la denominazione di “seconde case”.
Congiuntamente, però, è evidente rilevare che questa ulteriore attività di ospitalità si volle basarla sulla costruzione di villini, addirittura smontabili. È evidente che la preoccupazione e quindi l’intento
furono quelli di non aggredire il territorio, di lasciarlo delicatamente o aspramente naturale per offrirlo gradevole e caratteristico agli occhi e quindi all’apprezzamento del turista.
Del resto è sufficiente spostare lo sguardo su alcune cartoline dell’epoca per constatare quanta attenzione, nel corso dello sviluppo alberghiero, iniziato nell’anno 1900, si riservò alla sua architettura per inserire correttamente questi fabbricati maggiori nell’ambiente e così facendo per arricchirlo e non per deturparlo.
Il viale Roma, che collegava la stazione agli alberghi e fino alla base del secolare e caratteristico centro abitato, in una fotografia dell’epoca rivela ampiamente questa attenzione, da ritenersi fondamentale per mostrare la località turistica con un’immagine accattivante.
Come scritto poc’anzi tutto finì in un cumulo di macerie.
Ma la ripresa fu tempestiva e rispettosa del solco intelligente tracciato fino agli inizi degli anni ‘40. Si ricostruirono le case dei roccolani recuperando i siti precedenti e le pietre dirute; il centro urbano trovò una collocazione più bassa e adeguata ad una viabilità che presto si dimostrò utile alla crescita repentina del traffico automobilistico; gli alberghi risorsero come funghi e molti altri se ne aggiunsero, tutti colmi di sciatori d’inverno e di turisti per ben tre mesi estivi; importante fu il soggiorno estivo di Enrico De Nicola, Capo provvisorio dello Stato che, qui giunto per constatare la tanto efferatezza riservata a Roccaraso dall’esercito tedesco, volle trascorrere la sua prima vacanza del dopoguerra, appena ricostruito l’Albergo Reale; i villini finalmente trovarono il loro “giusto” sviluppo, ed erano contornati da ampi giardini, anche se posti su erti declivi panoramici nella zona denominata Conca d’Oro, a corollario delle piste e impianti del Colle Belisario e di Roccalta e del trampolino di salto con gli sci, che fu ampliato rispetto a quello sorto a metà degli anni ‘20.
Insomma, in un baleno, si ritrovò la Roccaraso vivace e industriosa, capace di essersi rigenerata prontamente e consapevole del ruolo che le doveva competere per dare il “la” alle località vicine di Rivisondoli e Pescocostanzo, anch’esse in parte già avviate nell’anteguerra all’attività turistica degli Altopiani Maggiori d’Abruzzo.
Si arriva così alla seconda metà degli anni ‘60, quando un fulmine a ciel sereno toccò terra e con enorme fragore si trasformò in mille rivoli infestanti di cemento e ferro. I roccolani impazzirono e perfino gli albergatori più importanti vendettero alcuni terreni di proprietà al centro del paese per consentire la costruzione di enormi fabbricati di seconde case. Fu l’inizio della fine.
E qui mi fermo. Primo per non ripetere ciò che vado predicando in via solitaria sulla disgregazione turistica causata da questa che può essere sicuramente denominata “l’alluvione cementizia”. Secondo perché il danno è fatto, consistente, inarrestabile ed irreversibile ed è inutile illustrarlo.
Forse l’unico pregio che potrebbe racchiudere è quello di mostrare e dimostrare a rinnovati flussi turistici quanto sia abile la mano dell’uomo nel trasformare le sue infinite capacità creative da intelligenti a nefaste. Ma questo è un altro discorso che a me non interessa più.
Potrebbe però interessare ad esperti urbanisti o a giovani studenti di architettura o di economia turistica, affinché si costituisca saldamente nella loro futura professione il concetto di rispetto della natura e della giusta produttiva attività umana… che qui è andata a farsi benedire?
Ugo Del Castello

















