#parolaviva
In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».
Allora Maria disse: «L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l’umiltà della sua serva. D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata. Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente e Santo è il suo nome; di generazione in generazione la sua misericordia per quelli che lo temono.
Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote.
Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia, come aveva detto ai nostri padri,
per Abramo e la sua discendenza, per sempre». Maria rimase con lei circa tre mesi, poi tornò a casa sua.
#vivilaparola
Le lancette dell’orologio, i display elettronici, segnano il trascorrere dei secondi, minuti e ore, di giorni che si succedono: la quotidianità è fatta di consuetudini e dei soliti spazi che scandiscono il ritmo di un tempo sempre uguale a sé stesso. Quanta fatica nell’esserci e abitare il presente, a volte è un fardello insopportabile: chi ha occhi per vedere, nella ripetizione, contempla l’artigiana sapienza, l’arte di vivere di chi ha i piedi aderenti ad un terra che non sempre gli è ospitale, ma trova il motivo di continuare nei cieli nuovi e la terra nuova.
Tutti solleviamo gli occhi verso l’orizzonte sospirando un’antica e originaria leggerezza: la vita infatti ha il colore di ciò che nutre la nostra speranza, alimenta i nostri sogni e muove le nostre energie. Si tratta di ciò che dona senso e significato ai nostri piccoli, semplici e quotidiani gesti. Il nuovo nella ripetizione si trova nella qualità delle aspirazioni, dell’ideale che bramiamo, principalmente nell’amore, quel colore rosso del sangue che mettiamo in ogni cosa che facciamo ed ha il potere di tingere di bianco il vuoto che spesso ci divora. La forza per non mollare ci viene proprio da ciò che amiamo.
Vangelo di questa domenica è da leggersi nella cornice della festa liturgica che lo esprime: ciò che per i cattolici viene a dirsi l’Assunzione di Maria, mentre per gli ortodossi, la “dormizione” della madre di Dio. Si tratta del passaggio terreno di Maria, al cielo: celebrazione di colei che ha generato il salvatore e diviene il primo frutto della vita nuova. Miriam non subisce la corruzione della carne, ma partecipa del destino del figlio. I cristiani nella giovane fanciulla di Nazareth, contemplano la prima tra i risorti, segno e simbolo della fede nella vita eterna: per questo a lei ricorrono, si affidano e uniscono, quale madre che ha sperato contro l’insperabile, diventa sostegno, lungo il pellegrinaggio terreno.
A dirla in questo modo può sembrare un racconto fantastico, fuori dalla nostra portata, perché la realtà è tutt’altra cosa, richiede di attraversare la fatica del cammino, ma tale non è: Maria è figlia, donna, sposa e madre, come tutte, tra le faccende di casa e gli impegni familiari, tra un impasto di farina, una guarda d’acqua attinta al pozzo e il rattoppo di una veste, sente la necessità di alzare lo sguardo verso l’orizzonte. Lei che serbava tutto nel suo cuore, raccolta nel silenzio di gesti ripetitivi ma che parlano di un amore straordinario, è consapevole che non tutti finisce qua sotto: anch’essa ha dovuto imparare che la fede autentica mantiene i piedi nel fango, si sporca le mani e ha i piedi pieni di polvere. Il cristianesimo non è fuga dal mondo ma partecipazione piena e totale, immersione nelle contraddizioni del mondo, senza timore di sgualcire il vestito bello, la talare e i merletti.
Credere in Dio è sapere che non tutto finisce qui, ma che tutto comincia qui nella terra, dove innestare nel finito della storia l’asse verticale dell’infinito, quel seme della vita eterna, fatta di impegno per la giustizia, la verità, la solidarietà e la libertà, da cui prima il credente si lascia trasformare e poi ne ricava la forza per cambiare il mondo secondo la prospettiva del “Regno”.
#farsiparola
“Deceduta in Camerun la madre Teresa dell’Africa”: così titolava il 22 luglio 2021 il settimanale dei cattolici “Famiglia Cristiana”. Il 21 luglio a Douala Maria Negretto, missionaria in Camerun dal 1969 lasciava questo mondo per quel cielo che ha contemplato e tanta forza le ha dato in terra. Era stata ribattezzata la “Santa Teresa d’ Africa”, pera dedizione della propria vita alla causa dei poveri e degli ammalati.
Era nata il 5 marzo 1938 a San Biagio di Argenta, in provincia di Ferrara. Per oltre 50 anni ha vissuto in Camerun, dopo una breve esperienza vocazionale nelle Figlie di San Paolo (le “Paoline”), ottenuto il diploma di infermiera professionale alla fine degli anni ’ 60, Maria ha lavorato nel reparto di Pediatria dell’ Ospedale di Rimini per qualche tempo: «Dentro di me sentivo una forza che mi spingeva verso i più deboli, quelli ai margini, grazie anche all’ insegnamento della mia famiglia e di mia madre che, anche in tempi di difficoltà e povertà, era sempre disponibile ad aiutare un bisognoso quando si presentava alla porta di casa», raccontava ai volontari dell’ “Associazione Maria Negretto”.
Nel 1969 partì per il paese africano. Il “mal d’ Africa” la colse subito, tanto che decise di fermarsi anche dopo la scadenza dell’ anno di volontariato. Tenace e determinata fin da piccola, nata in una famiglia numerosa con dieci fratelli (di cui uno, Giuseppe, sacerdote diocesano a Ferrara), era abituata al lavoro duro. La prima tappa del suo viaggio nel dono di sé è stata a Dschang, a una sessantina di chilometri da Bafoussam, la terza città del Camerun. Si curò di alcuni bambini rimasti orfani durante il parto e poi curando i malati, e fra questi soprattutto i lebbrosi, esclusi dalla vita comunitaria, e facendo lezioni di igiene alle mamme in un tempo in cui molti bambini morivano di disidratazione dopo poche normalissime crisi di diarrea.
Tra le opere di questa instancabile donna c’ è la creazione di una rete di assistenza e di aiuti materiali portati nel carcere di Bafoussam (acqua corrente, cibo, cure mediche). L’ ultima opera realizzata è stata l’ implementazione di un sistema di cure palliative nei suoi dispensari: dopo aver visto negli anni tante persone morire tra enormi sofferenze, è riuscita, grazie alla collaborazione con alcuni ospedali italiani, a introdurre una medicina di base per accompagnare alla morte, restituendo dignità a tante persone.
Paolo Greco