#parolaviva
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli una parabola: “Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso? Un discepolo non è più del maestro; ma ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro. Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? Come puoi dire al tuo fratello: “Fratello, lascia che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio”, mentre tu stesso non vedi la trave che è nel tuo occhio? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello. Non vi è albero buono che produca un frutto cattivo, né vi è d’altronde albero cattivo che produca un frutto buono. Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dagli spini, né si vendemmia uva da un rovo. L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda”.
#vivilaparola
Un’esistenza che desidera crescere ed essere feconda cerca terreni fertili dove poter germogliare e portare frutti: ossia cerca punti di riferimento validi e soprattutto credibili. Ciascuno sceglie, non da oggi evidentemente, il suo influencer che può influenzarlo nel bene. Non è vero che facciamo tutto da noi, scegliamo e costruiamo da soli la nostra vita, abbiamo tutti almeno un maestro che abbiamo scelto di seguire. Al contrario sappiamo quanto male fanno le brutte compagnie e i cattivi maestri, spesso ci portano fuori strada, alimentano la complicità nel male e mettono in evidenza ciò che nell’intimo ci crea inquietudine. Tutti desideriamo generare qualcosa di bello, soltanto che spesso crediamo siano gli oggetti di possesso a darci quanto desideriamo di buono, in realtà è qualcuno che ci rimanda alla parte migliore di noi a farci maturare e portate frutti buoni: perché è ciò che si trova dentro di noi, i sentimenti che ci abitano e i pensieri che coltiviamo a nutrire la vocazione alla vita che ci caratterizza. Il maestro buono ci porta al cuore, il luogo da dove si nutre la vita buona, dove le parole e sentimenti nascono.
Infatti le azioni ispirate all’amore vengono fuori da un cuore riconciliato che si vuole bene. Infatti chi non vuole bene a sé stesso, non riesce a vedere il bene attorno a sé, in effetti l’esperienza ci insegna che colui che guarda l’altro con un occhio pulito e non di oscurità, diffonde benedizione e non maledizione, semina sole e non tempesta, luce e non ombra. La vita ci è stata data non per alzare una trave davanti al sole, bensì per fare splendere la luce divina che la abita.
Il Vangelo di questa domenica ci presenta Gesù che insegna l’arte della vita buona, l’etica della fecondità e non della rigidità che mortifica l’esistenza: si tratta del maestro che guida il discepolo a superare l’inganno di una fede autoreferenziale, moralista e autoassolutoria che guarda la pagliuzza nell’occhio del fratello e non vede la trave nel proprio, per accompagnarlo alla vera conversione che nasce da sapere vedere i propri limiti davanti a Dio. Il quale non ci guarda con occhio minaccioso ma con amore: è bello sapere che Dio ha un’occhio buono che riesce a vedere il bene in noi e maggiormente ci dona il suo bene. È consolante l’idea di un Dio che va alla ricerca di vite senza difetti, bensì di vite capaci di portare frutti di bene. Si perché la legge di Dio è generare, come l’albero che produce frutti buoni. Il cristiano deve essere come il suo maestro, coltiva il suo stesso sguardo e più ancora i suoi sentimenti, un cuore capace di vedere il bene presente nei fratelli e non solo i difetti, a partire dal riconoscere il bene che si trova dentro sé stessi: chi ama non vede solo male attorno a sé, ma riesce a scorgere il bene possibile. Valorizza i punti di forza dell’altro, gode del bene che può fare e non del male.
#farsiparola
Chi ha saputo vedere il valore di ogni persona anche durante il nazismo che opprimeva le persone annullandone la dignità è stato Tito Brandsma, al secolo Anno Sjoerd, (Bolsward, 23 febbraio 1881 – Dachau, 26 luglio 1942): un presbitero olandese, vittima del nazismo. Papa Francesco ne ha riconosciuto l’esempio virtuoso di vita cristiana e il martirio proclamandolo Santo (Concistoro del 4 marzo 2022). Tito è di salute così fragile che non gli permette né di lavorare nell’azienda familiare, né (come desidererebbe) di entrare tra i Frati Minori, ma tuttavia entra nell’Ordine Carmelitano, presso il convento di Boxmeer. Con l’ingresso in noviziato cambia nome in fra Tito, in onore di suo padre e viene ordinato sacerdote il 17 giugno 1905.
Completa gli studi alla Gregoriana di Roma e tornato in Olanda come professore comincia a coltivare la passione giornalistica. Il vescovo di Utrecht finisce per nominarlo anche assistente ecclesiastico dei trenta giornali cattolici del paese. Un compito che svolge con passione e competenza tanto da diventare un sicuro punto di riferimento. Sono i tempi in cui l’ombra del nazismo si diffonde in Europa e verso cui padre Tito non è per nulla tenero, denunciando a gran voce la distorsione ideologica. Il suo impegno afferma il valore di ogni persona umana, mentre il nazismo va contro la persona e soltanto l’amore cristiano può vincere il neopaganesimo nazista. Così viene subito “schedato” e con l’invasione tedesca dell’Olanda (10 giugno 1940) i nazisti danno inizio alla vera e propria persecuzione degli ebrei ed alla repressione dei cattolici ed è ancora padre Tito che, per incarico dei vescovi, si presenta al comando centrale nazista per vigorosamente protestare.
Per questo e per tutto il suo impegno giornalistico la Gestapo lo va a prelevare nel suo convento di Nimega (9 gennaio 1942). Nella cella in cui lo rinchiudono ha tempo per pregare, meditare, scrivere anche (almeno nel primo periodo): scrivendo ai confratelli comunica di «non aver bisogno di piangere, di mandar sospiri, persino canto un po’ qualche volta, a modo mio e, naturalmente, non troppo forte», però confessa di «non riuscire a sopportare le notti. Dalle otto di sera fino alle sette del mattino non posso dormire. Così la notte sto sveglio molto tempo». La salute, già precaria, comincia a farne le spese e il suo indebolimento è tale da costringerlo nell’infermeria del campo. Il 26 luglio 1942 un’iniezione di acido fenico lo libera dalla prigionia. All’infermiera che gliela pratica padre Tito regala la sua corona del Rosario: «Anche se non sai pregare, ad ogni grano di’ soltanto: “Prega per noi peccatori”».
Paolo Greco