“Sant’Antonio è o nemico rò demonio”, questa l’antica litania della tradizione contadina, che, in Molise, come nel sud Italia, ancora si canta stando al caldo del fuoco purificatore acceso in onore del Santo. Sant’Antonio Abate, eremita egiziano nacque il 17 gennaio, data del rito della devozione a lui concessa e sancito attraverso diverse tipologie cerimoniali quali la benedizione degli animali, l’invocazione contro il male, tutte convergenti verso il grande falò purificatore, simbolo di luce.
La potenza del fuoco come forza aggregante, speranza di fertilità della terra e di una prossima primavera piena di vitalità. Il male si estingue allo spegnersi del falò che spesso spande luce e calore per tutta la notte. Sant’Antonio viveva in solitudine nel deserto ma di certo non era solo. Fu combattente contro il diavolo che ne uscì sempre sconfitto.
Ne uscì rafforzato nella fede e pose in essere l’insegnamento della fede confortata da preghiere, digiuni, fiducia negli uomini. Ogni anno la tradizione si ripete e in ogni paese i fuochi prendono il sopravvento sulla notte con le lingue rosse che colorano la notte buia e spesso fredda dell’inverno. Anche a Bojano, come in gran parte del Molise, molte sono le rappresentazioni che onorano il Santo. Noi abbiamo scelto una di quelle sincere, patriarcali, di lungo corso fatta di amicizie, strimpelli di organetto e fisarmonica e succulenti piatti della tradizione.
Siamo in contrada Limpiilli in casa Prioriello. Stefano, un ragazzone bojanese dedito all’amicizia spontanea e alle aggregazioni folkloriche, sa bene cosa significa la tradizione e ne conserva i ricordi di una famiglia che mai ha smesso di cancellarne i fasti del tempo che corre e non guarda più dietro. Nel proseguire la tradizione familiare ha acceso un falò gigante, portato sull’aia cavalli, asini e pecore, preparata l’accoglienza culinaria.
La sera porta nella contrada bojanese il vento delle tipiche serate invernali. Il fuoco si dota di segnali di fumo che infastidiscono la visione della condivisione tra generazioni. Si attende il prete per la benedizione e quando arriva – Don Alessandro Iannetta – si spera in un’intercessione per calmare il tremolare scomposto delle lingue rosse. Gli animali ancora non si fanno sentire e sperano anch’essi ma in un ritorno in stalla per poter soddisfare la loro voracità al cibo. La benedizione, come sempre, arriva e…. il fuoco alimenta le sue fauci e si trasforma in fratello senza più cattiveria. I segnali di fumo si tramutano in calore e la musica dell’organetto, suonato da un giovanissimo passionale, e della fisarmonica di Antonio Nicotra, si fonde con la calma della sera.
Qualcuno accenna al ballo e il piazzale di gente costipa. I ricordi fermano il tempo e l’orologio riporta ore passate tra amici una volta giovani e senza costrizione all’antagonismo. I sorrisi si tramutano in strette di mano e risate dal nessun pensiero. “Ognuno è fermo e immobile, solo, nell’illusione di essere il/al centro della terra, illuminato (ma anche ferito) da un raggio di sole: e all’improvviso sopraggiunge la sera (la morte inaspettata)” Quasimodo scrisse non ponendosi al cospetto del fuoco purificatore, nella sua lirica più significativa e espressiva.
Tre soli versi per esprimere il concetto dell’esistenza, la sua lotta per raggiungere la felicità. La vita dona all’uomo un filo di calore e di speranza, di felicità, proprio come una lingua di fuoco, ma nello stesso tempo lo ferisce come una spada, lo trafigge, facendolo soffrire. La sera smorza la lotta e giunge fulminea la notte. A Sant’Antonio questo non accade.
A Bojano, grazie a giovani con dentro il valore dell’amicizia e della famiglia, la sera non fa paura, la notte torna a essere sicura, conviviale nel riportare l’incontro seppur in tavole di fortuna ma dal sapore della genuinità. La tradizione si fa carico della vittoria sulla modernità e tutto torna! Anche a Bojano, Sant’Antonio ha sconfitto il demonio e ridato speranza a chi non ha più voglia di lottare per ritrovare la felicità!
Maurizio Varriano