La febbre catarrale ovina (Blue Tongue) è tornata a colpire con forza i territori rurali del Centro Italia, confermando un trend purtroppo ricorrente. Ancora una volta, però, il sistema pubblico preposto alla sanità veterinaria sembra non aver risposto con la tempestività e l’efficacia richieste da una situazione così critica.
I protocolli attualmente in vigore appaiono superati rispetto alla realtà epidemiologica e climatica attuale. Le misure di contenimento e prevenzione si sono rivelate insufficienti o, in diversi casi, non applicate in modo concreto.
Da tempo erano noti segnali di allerta, ma nonostante ciò non si è assistito all’attivazione di piani vaccinali aggiornati o campagne di disinfestazione coordinate.
Nel contesto attuale, molti allevatori segnalano la difficoltà di ricevere un’assistenza veterinaria efficace. A fronte di numerose richieste di intervento, il supporto sul campo è stato percepito come limitato, con un approccio prevalentemente amministrativo piuttosto che operativo.
Questa situazione genera un grave senso di solitudine nelle aziende zootecniche, che continuano a garantire presidio del territorio, economia locale e qualità alimentare.
Non si tratta di puntare il dito, ma di richiamare con forza le istituzioni a un’assunzione di responsabilità concreta e non più rimandabile. Serve un piano chiaro, operativo e condiviso per tutelare sia la salute animale sia la sopravvivenza delle imprese agricole.
Il blocco alla movimentazione degli animali, la mancanza di vaccinazioni disponibili, le perdite economiche ingenti e l’assenza di coperture assicurative stanno mettendo in seria difficoltà molte aziende familiari. È fondamentale che le autorità competenti affrontino l’emergenza con strumenti straordinari, risorse adeguate e una rinnovata attenzione al territorio.
Gli allevatori continuano a fare la loro parte. Ora tocca a chi ha il dovere di proteggerli fare la propria.