#parolaviva In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena. Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri».
#vivilaparola Un profondo desiderio è nascosto nel cuore umano, appartiene al DNA dell’esistenza: si tratta di un richiamo sempre nuovo che spinge a fare cose incredibili pur di ottenerne qualche scampolo. Per gustarne il sapore non esitiamo a inseguirne le caricature più assurde, illusi crediamo che una serata da sballo basti. Si tratta dell’amore che, più di qualcuno confonde con lo stordimento e la smania di accumulo, di possesso e di avere: abbiamo paura di non essere amati, così ci riempiamo di inutili cose. Spesso ci lasciamo cadere, abbandonati ai cocktail artificiali di felicità: per una notte ci sembra di galleggiare, felici, nel mare magnum della vita, la mattina dopo è nausea, vomito. In realtà soltanto tuffandoci nell’oceano dell’esistenza, andando dentro le sue profondità, possiamo scoprirne le preziose perle: l’amore non è stare seduti sulla comoda poltrona in attesa di non si sa chi, bensì muoversi e sentire l’odore delle cose. Per vivere sopra il male che ci affligge e salvarci dal baratro del nulla abbiamo bisogno di scendere nel significato dei nostri giorni: lì dove risiede la sapienza nascosta.
Gesù nel Vangelo scende in basso, non resta nel cielo, sceglie di camminare a fianco degli uomini e le donne del suo tempo, ne condivide angosce e paure: mostra la bontà di Dio chiamandoci amici e non servi. La Bibbia è una lettera d’amore diceva Agostino d’Ippona, comincia con le parole “sei amato”, e termina con le parole “amerai”. Spesso pensiamo che il cristianesimo é la religione del non-amore e del muso lungo: rallegra l’anima invece sapere che Dio viene con il sorriso di un bambino, viene a mani aperte, pronte a donare amore e non a prendere. Viene a dare la gioia, non quella a buon mercato, frutto di meschini compromessi, ma quella che si radica nel cuore di un Padre buono che sogna il meglio per i suoi figli. La fede è relazione di amore gratuito, non è privazione bensì addizione, di più vita.
È un incontro dinamico, liberante e trasformante che genera speranza anche negli strappi più acuti e nelle sofferenze più tristi: l’amore ha il potere di trasformare anche le ferite più dolorose in una ricchezza. Gesù ci vuole sorridenti e padroni insieme a Lui della nostra vita, liberi e capaci di amare e di gioire perché lì si trova il segreto: diveniamo schiavi, tristi, per paura di amare, per mancanza di fiducia e di coraggio. La vera gioia si trova affrontando la fatica del vivere e custodendo le lacrime che condiscono l’esistenza: soltanto allora potremo scoprire che la gioia è già qui…ogni qualvolta che cerchiamo di abbracciare la terra, di amare la vita e di amarci gli uni gli altri è gioia profonda.
#farsiparola Chi ha scoperto l’amore di Dio e la gioia autentica é stato Angelo Nicola Lucci: nacque il 2 agosto 1682 in Agnone. A quindici anni manifestò la volontà di entrare nell’Ordine dei Minori Conventuali di San Francesco e nel 1698 compì ad Isernia la professione dei voti assumendo il nome di Antonio. Consacrato sacerdote nel 1705 conseguì il dottorato in teologia nel 1709 e fu chiamato a curare la formazione dei giovani studenti, con il titolo di “padre maestro”. Si distinse subito per le doti intellettuali e umane, le virtù Cristiane che viveva in maniera eroica. Per questo Benedetto XIII lo chiamò tra i teologi del Sinodo romano del 1725 e gli commissionò un’opera contro il giansenismo. Il 7 febbraio 1729 venne nominato vescovo di Bovino in Puglia, dove continuò la sua opera di istruzione delle classi più umili della società, istituì la scuola elementare e promosse corsi di catechesi.
All’impegno di teologo Antonio Lucci unì l’amore per i poveri sull’esempio e l’insegnamento di San Francesco e l’esercizio della carità verso tutti gli uomini e le donne che bussavano alla sua porta. Non esitó a prendere posizione in favore dei poveri e della Chiesa contro le usurpazioni e le ingerenze della classe aristocratica. Morì il 25 luglio 1752. Giovanni Paolo II lo ha proclamato beato il 18 giugno 1989.
Il suo alunno Ludovico Maria Sileo ha dichiarato: “più volte arrivò a spogliarsi degli abiti interiori per darli a’ poveri in tempo d’ inverno, tremando egli di freddo: ed in Roma dava ai poveri (credo colle dovute licenze) quanto si buscava colle sue letterarie fatiche“. Un altro testimone racconta: “Vestiva i nudi, e dalla mattina fino alla sera continuamente dispensava limosine alli poveri, dandoli grano, danari, letti, biancarie fino a spogliarsi delle proprie vesti, ed anche della camicia, dandole con tutta prontezza a suoi poveri. E su tal particolare mi ricordo, che una volta diede ad un povero della città di Troja li propri suoi calzoni, che s’aveva levato da dosso […] ed era tanta questa sua carità, che siccome quando aveva danari per darli a poveri stava tutto allegro, e brillante; così al contrario era tutto afflitto e mesto quando non ne aveva, e la sua mestizia chiaramente si leggeva nel suo volto, e perciò in questo caso non potendo frenare l’ardente voglia, che avea, non incontrava difficoltà di mandarli a cercare ad impronto or’ad uno, or dall’altro cittadino …”.
Paolo Greco