#Parola viva
In quel tempo, [Gesù apparve agli Undici] e disse loro: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato. Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno». Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio. Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano.
#vivilaparola
La vita umana non è figlia di uno sforzo volontaristico, di un atto individuale: nessuno viene al mondo da solo, ha bisogno della partecipazione dell’altro per essere. Non si diventa uomo senza l’abbraccio di chi ci ama: cresciamo mediante una rete di relazioni, più o meno, importanti. Illuso è chi pensa di essersi fatto con le proprie mani e deluso chi crede di bastare a sé stesso: ciascuno è anche ciò che altri gli hanno insegnato, trasmesso, lasciato in eredità. Non si tratta di beni materiali, bensì comunicazione di valori, di conoscenze, di emozioni, di sguardi, parole e silenzi, che lasciano un segno indelebile.
Siamo debitori di qualcuno che spesso dimentichiamo di ringraziare. Medesima cosa accade con le esperienze negative, di sofferenza e dolore: ogni persona è la conseguenza di ciò che ha incontrato prima, ascoltato, toccato, vissuto e sperimentato sulla propria pelle. Per questo ciò che siamo e facciamo nel mondo è anche frutto di ciò che abbiamo amato, principalmente di quello che abbiamo riconquistato: una parola, un gesto, uno sguardo, una scintilla che riscalda l’anima, dona pace al cuore, illumina le notti oscure e infiamma i monotoni giorni.
Il Vangelo di oggi ci presenta Gesù che, dopo i fatti della risurrezione, lascia i suoi amici, ascende al cielo e li invia nel mondo: sembra l’epilogo di un racconto fantasioso, quanto cinico, spietato, dal sapore amaro. Come dare credito ad un Dio che dopo avere accesso gli entusiasmi dei suoi, fino a metterne a repentaglio la vita, li lascia in balia delle avversità del mondo? Mentre Lui si accomoda sul trono celeste, seduto a guardare la scena finale del dramma? È un inganno! In realtà di una verità si tratta: Dio e lì dove tu sei, più intimo di te stesso e al contempo oltre ogni limite…non ha bisogno di te ma non può stare senza di te.
Non è la storia di un romanzo bene architettato, neanche un effetto speciale, tantomeno di fantascienza si tratta, bensì della fantasia di un Dio che non dirige la storia con la bacchetta magica dall’alto del suo palazzo, ma che partecipa e si coinvolge ancora più profondamente con la terra: solo la creatività divina poteva escogitare una presenza rispettosa e incisiva, umile e alta, semplice e potente al contempo. Ciò che pare un abbandono per i suoi discepoli non è tale, ma di una nuova vicinanza più vera e più intima: da riconquistare con una nuova voce che annuncia, altre mani che benedicono, passi leggeri che soccorrono, segni di una bellezza che guarisce e non si rassegna alla bruttezza del male.
#farsiparola
Chi ha risposto all’invito di Gesù ed ha annunciato al mondo la buona notizia del vangelo è stato Giovanni Calabria: nacque a Verona, in una modesta famiglia, nel 1873 dove vi morì nel 1954 in odore di santità. Riconosciuto dalla Chiesa come un vero gigante della carità. Con la prematura scomparsa del papà, la famiglia era sul lastrico, sfrattata e ospitata per opera di carità, e Giovanni fu costretto a cercarsi un lavoro. La mamma non nasconde le sue preoccupazioni per quel figlio troppo idealista, infatti non riusciva a mantenersi nessun lavoro. Accadeva spesso che dopo pochi mesi venisse licenziato. Il suo vero sogno era diventare prete, ma non aveva i mezzi economici per pagare la retta del seminario e poi non era allo studio. Ma un sacerdote veronese riconobbe le sue qualità e si fece carico di Giovanni, così nonostante non entusiasmasse i superiori, riuscì ad essere ordinato sacerdote l’11 agosto del 1901.
Un episodio fece cambiare direzione alla sua vita e indirizzarla sui binari della carità: una notte incontrò un piccolo zingarello costretto a elemosinare per sopravvivere e sfuggire a botte e soprusi. Giovanni lo accolse nella sua casa affidandolo alla madre, abituata a condividere la generosità del figlio. Quella notte però, ripensando a quanto accaduto, non riuscì a prendere sonno, e gli nacque l’idea di fare qualcosa per opporsi alle ingiustizie verso i più piccoli. Da quel giorno tanti altri fanciulli, furono strappati alla strada e alla miseria, e per loro nel 1907, aprì la prima casa di accoglienza l’istituto i “Poveri Servi della Divina Provvidenza”, seguiti qualche anno dopo dal ramo femminile. L’impegno fu quello di “mostrare al mondo che la divina Provvidenza esiste, che Dio non è straniero, ma che è Padre, e pensa a noi”.
Don Calabria li volle attivi nelle zone più povere, “dove nulla c’è umanamente da ripromettersi”, dediti alle “creature abbandonate, reiette, disprezzate: vecchi, malati, peccatori”. L’obiettivo principale era di “ravvivare nel mondo la fede e la fiducia in Dio, Padre di tutti gli uomini, mediante l’abbandono totale nella sua divina Provvidenza per tutto ciò che riguarda le cose necessarie alla vita”. Tutta la sua esistenza fu spesa al servizio dei suoi poveri tesori, secondo l’insegnamento del vangelo, incoraggiando tutti al ritorno pratico alle pure sorgenti del Vangelo. Uno dei suoi motti è stato: “O si crede, o non si crede; se non si crede, si stracci il Vangelo”.
Paolo Greco