La tavola Osca di Capracotta. E’ il titolo del saggio breve presentato nel pomeriggio del 22 giugno nella sala consiliare del comune di Termoli. L’autrice, Paola Di Giannantonio, studiosa di tradizioni popolari, ha intrapreso questo viaggio tra le popolazioni dell’area linguistica osca in Abruzzo e Molise, rilevando come i loro culti agresti e le divinità collegate, abbiano solcato i secoli, le civiltà e le generazioni , innescandosi nei rituali religiosi e nei culti devozionali del Cristianesimo che , definiti come tradizione, sopravvivono e si perpetuano in forme e modalità di matrice arcaica, generando interesse e una forte carica di attrazione.
La tavoletta bronzea rinvenuta per caso nella prima metà dell’ottocento, 1848, da un contadino che scavava un stipa nel campo di un committente, oggetto di studi scientifici di altissimo livello ma anche enigmi e diatribe accese, ha offerto lo spunto all’autrice per riproporne uno studio personale interessante e molto originale, ritenendo che le parole ivi incise rappresentino la chiave di volta per la ricerca delle origini dei riti propiziatori, di fecondità, di ringraziamento per i raccolti e per la copiosità delle messi.
La tavola osca, cm 28 x 16,5, con due 2 facciate e 25 righe da un lato e 23 dall’altro, nella prima allude ad un recinto sacro dedicato a Cerere “ Kerres” e alle cerimonie. Nella seconda facciata sono elencati gli altari “statif” delle divinità. La località del ritrovamento è fonte del Romito “l’uorte hurz “ nei pressi di Capracotta e tra questa ed Agnone.
L’excursus di presentazione del lavoro, l’interpretazione dei testi e la radice delle parole impresse nella tavola, seguendo un sistema grafico di base etrusca con sistemi alfabetici latini e greci, i toponimi e l’etimologia delle varianti dialettali presenti attualmente nelle parlate locali e le ibridazioni linguistiche, hanno offerto all’autrice, lo spunto interpretativo dei riti della tavola, degli altari e altarini “ che si preparano ancora ai nostri giorni in numerosi paesi del basso Molise, il territorio dei sanniti frentani in cui è radicata l’usanza di allestire in un ampio locale in ogni vicinato l’altare di San Giuseppe il 19 marzo a ridosso dell’equinozio di primavera.” L’idea del sacro e la sua concezione immanente, i riti dell’orto sacro dove era appesa la tavola, la putrefazione della carne che accompagna la forza generativa del seme del grano, la pratica dell’animale bruciato che avveniva ogni tre anni, offrono alla scrittrice di Terratradita, de I Misteri di Campobasso, una festa agraria dei Sanniti e del saggio Demetra per sempre, il motivo per affermare che il toponimo di Capracotta derivi proprio dalla tavola osca e dal rituale arcaico del sacrificio animale.
“Suggestione” è il termine pronunciato a commento da Nicola Mastronardi, giornalista e scrittore che nella veste di relatore, ha manifestato grande simpatia per l’autrice, evidenziando come l’epigrafe linguistica osco – sabellica e le tavole eugubine, siano il vero pantheon delle divinità pre-romane.
Mastronardi ha tracciato a grandi linee la storia del ritrovamento della tavoletta di cui esistono due esemplari, le modalità e l’osservazione del reperto da parte dei fratelli Saverio e Domenico Cremonese che, con il ruolo assunto da un orafo agnonese, avrebbero evidentemente meritato ad Agnone la paternità della “ tavola degli dei”, di seguito venduta all’antiquario romano Alessandro Castellani, il quale a sua volta, nel 1873, l’avrebbe ceduta insieme ad altri reperti, al British Museum di Londra dove oggi è esposta. Curatore di una mostra ad hoc, l’autore di Viteliù ed altri saggi storici, auspicando la nascita di un museo che possa ospitare tutta la documentazione relativa, ne ha evidenziato la portata storica rispetto alla civiltà sannita e alla poderosa produzione letteraria, circa 152 titoli di testi e pubblicazioni e tra questi i lavori del tedesco Theodor Mommsen, giurista, epigrafista e grande storico della Roma antica, fino alle più recenti teorie dell’archeologo e accademico italiano Adriano La Regina, per non dimenticare il lavoro di Vincenzo D’Amico di Jelsi, pubblicato nel 1952 a Campobasso.
Lo scrittore Antonio D’Ambrosio, cui sono state affidate le conclusioni, ha evidenziato come l’ originale interpretazione proposta dalla Di Giannantonio, possa aprire, per il suo punto di vista, nuovi orizzonti e scenari sia in riferimento agli studi sulla tavola, che alla valorizzazione e alla coltivazione dei dialetti ritenuti essenziali per il recupero delle culture antiche e popolari, come si evince dalla stessa frase scritta da Antonio Gramsci e riportata nel saggio.
Il prossimo incontro di presentazione si svolgerà nella località alto molisana. Ad annunciarlo è stato il sindaco Candido Paglione che ringraziando l’autrice, ha rivolto il suo invito al pubblico e all’associazione promotrice dell’iniziativa, La casa del Libro, rappresentata dai soci e dalla presidente Daniela Battista che nella prolusione, ha evidenziato la passione e i pregi della vulcanica autrice, socia fondatrice de La Casa del Libro. Interessante è stato, durante i lavori, l’intermezzo della prof. Lucia Bruno e di una nipotina della Di Giannantonio che hanno letto alcuni testi delle iscrizioni in osco, elencate nella tavoletta e presenti nel libro.
Fernanda Pugliese