#parolaviva
E venne uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, come lo vide, gli si gettò ai piedi e lo supplicò con insistenza: «La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva». Andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno.
Ora una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza alcun vantaggio, anzi piuttosto peggiorando, udito parlare di Gesù, venne tra la folla e da dietro toccò il suo mantello. Diceva infatti: «Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata».
E subito le si fermò il flusso di sangue e sentì nel suo corpo che era guarita dal male. E subito Gesù, essendosi reso conto della forza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: «Chi ha toccato le mie vesti?». I suoi discepoli gli dissero: «Tu vedi la folla che si stringe intorno a te e dici: “Chi mi ha toccato?”». Egli guardava attorno, per vedere colei che aveva fatto questo. E la donna, impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. Ed egli le disse: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male».
Stava ancora parlando, quando dalla casa del capo della sinagoga vennero a dire: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?». Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: «Non temere, soltanto abbi fede!». E non permise a nessuno di seguirlo, fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo.
Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava forte. Entrato, disse loro: «Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme». E lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della bambina e quelli che erano con lui ed entrò dove era la bambina. Prese la mano della bambina e le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico: àlzati!». E subito la fanciulla si alzò e camminava; aveva infatti dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. E raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e disse di darle da mangiare.
#vivilaparola
La vita batte tra due movimenti, apparentemente contrari, amore e dolore. La pandemia da Covid-19 ce ne ha dato conferma, improvvisamente ci siamo scoperti tutti più fragili e vulnerabili: ma allo stesso tempo abbiamo trovato ristoro nell’affetto di chi ci è rimasto accanto. Come gli operatori sanitari, con una carezza, un sorriso, hanno sostenuto quanti intubati erano costretti a stare distanziati dai familiari.
Un piccolo microbo ha ferito e ucciso corpi, imprigionato anime, bloccato le relazioni primarie importanti e causato la paura di vivere: più volte in questi mesi abbiamo invocato “chi ci potrà salvare dal male?”. Tuttavia le ferite sono state lenite da chi non ci ha lasciato soli. La nostra presenza, è continuamente esposta alla possibilità di rompersi, è cieco chi non riconosce la condizione di finitudine e la linea del limite che caratterizza la nostra vita: la ricerca scientifica ci supporta e cerchiamo una risposta nella medicina, la quale quando è posta a servizio dell’uomo è capace di cose straordinarie.
Meno quando è assorbita al dio economico delle multinazionali farmaceutiche. Tuttavia l’esistenza cerca un senso al dolore che ci affligge, un significato che consente di non affogare in ciò che appare assurdo e insensato: eppure sorpresi dall’assalto del male si fa largo qualcosa di nuovo, quando non decidiamo di fuggire, uno squarcio ci avvicina a Dio.
Il Vangelo di questa domenica ci presenta Gesù che sosta a riva, presso la nostra vita, lungo i corridoi esistenziali, lì dove risiede ciò che spesso tendiamo a nascondere per paura di essere non adeguati: la fragilità e la malattia, più di ogni altra quella del mal di vivere, oggi ritenuti un difetto. Illusione del “super uomo” sempre in agguato. Tra la folla che lo circonda, un papà lo supplica di guarire la figlioletta morente, mentre una donna sofferente si fa largo tra la ressa per toccargli almeno il mantello: la speranza è quella di essere guariti. La fiducia opera il miracolo. La fede infatti è fidarsi del Dio vicino. Infatti è bello sapere che ci tiene per mano nella malattia, non ci lascia soli nella fatica del vivere: ci viene incontro, entra nella nostra casa, guarda, tocca la carne ferita, si lascia toccare, dona vita.
La Sua è una presenza salvifica che risolleva, incoraggia, vivifica. Il suo corpo sprigiona una energia positiva che guarisce e rimette in moto la vita dormiente: invita ad alzarsi dalla disperazione, dalla morte dell’anima in cui spesso ci troviamo, rimette in piedi quanti sono a terra, prostrati dal dolore. Scuote dal torpore quanti sono sdraiati, condizione oggi che, prende molti giovani: spesso non trovano altra strada se non quella di affossare la testa sui cuscini e la schiena sui divani del salotto: delusi dal mondo che li circonda preferiscono abbandonare la vita. Anche oggi Gesù dice a ciascuno di noi: “Alzati”. Non restare a terra. La vita ti attende. Alzati dalle cadute, prostrazioni e delusioni: dal fallimento, dal non amore, da una malattia tormentosa. Ci dà la scossa per riagganciare la nostra esistenza al flusso della vita, e scorgere anche nella sofferenza, la via per una nuova e più profonda unione con il mistero della vita.
#farsiparola
Chi ha incontrato Gesù e lo ha seguito nella cura dei malati è stato Erminio Pampuri: nato a Trivolzio (Pavia) il 2 agosto 1897 da Innocente e Angela Campari. Decimo di 11 figli, resta ben presto orfano di madre prima e di padre dopo. In seguito a questi tragici eventi, il piccolo viene accolto in casa degli zii materni Carlo, medico condotto di Trivolzio e Maria Campari i quali lo crescono con grande affetto, tanto che Erminio li chiama sempre papà e mamma.
Educato nella fede cristiana, anche grazie alla domestica Carolina, riceve la Cresima e la Prima Comunione molto presto. È un giovane buono, mite e socievole, aiuta il parroco nell’insegnare il catechismo ai più piccoli, nel portare i suoi coetanei in Chiesa, specialmente alla sera per la visita al SS. Sacramento, devozione che non abbandonerà, neppure da giovane medico.
Di notevole intelligenza, dopo la maturità classica Erminio, avrebbe voluto farsi religioso, come aveva più volte confidato a sua sorella suor Longina Maria, missionaria in Egitto, appartenente alle Francescane Missionarie del Cuore Immacolato di Maria e morta al Cairo il 2 agosto 1977. Ma si iscrive alla facoltà di medicina dell’università di Pavia, probabilmente condizionato dalla presenza dello zio Carlo medico, conseguendo la laurea in medicina e chirurgia con il massimo dei voti. Tuttavia il desiderio di seguire Gesù non lo abbandona, e diventa Terziario Francescano, come anche assiduo frequentatore della Conferenza di San Vincenzo de’ Paoli, nella cura dei più bisognosi. É talmente generoso che spesso si ritrova senza soldi in tasca. Consigliato da don Riccardo Beretta, entra nell’Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Dio – Fatebenefratelli, dove viene accolto con amore nonostante la malferma salute.
L’elogio di Giovanni Paolo II nell’omelia per la beatificazione (1981), riassume tutta la sua figura di giovane cristiano impegnato, di medico e di religioso: “Ermino Pampuri è una figura straordinaria, vicina a noi nel tempo, ma più vicina ancora ai nostri problemi e alla nostra sensibilità.
Noi ammiriamo in Ermino Pampuri il giovane laico cristiano, impegnato a rendere testimonianza nell’ambiente studentesco, come membro attivo del circolo universitario ‘Severino Boezio’ e socio della Conferenza San Vincenzo de’ Paoli; il dinamico medico, animato da una intensa e concreta carità verso i malati e i poveri, nei quali scorge il volto del Cristo sofferente”. La breve, ma intensa, vita di fra Riccardo Pampuri, nome che aveva assunto con la consacrazione religiosa, è uno sprone per tutto il popolo di Dio, specialmente per i giovani, per i medici e i religiosi.
Paolo Greco