#parolaviva
In quel tempo, Gesù venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono.
Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: “Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?”. Ed era per loro motivo di scandalo. Ma Gesù disse loro: “Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua”. E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità.
Gesù percorreva i villaggi d’intorno, insegnando.
#vivilaparola
Ognuno ricerca e trova la sua realizzazione in un compito, una professione, una vocazione. Nel quotidiano, in ciò che è abituale, con i familiari e i più vicini si sperimenta la fiducia durante il percorso di crescita: ma proprio da chi non ti aspetti trovi l’ostacolo più duro. Il nemico di ogni realizzazione infatti, è la mancanza di ogni fiducia. Per questo tutti i genitori fanno sacrifici per offrire il meglio affinché i figli possano diventare qualcuno: ma l’io si genera non soltanto perché veniamo al mondo, o perché ci hanno dato un nome, bensì quando decidiamo di riconquistarlo. Si tratta di un esercizio che si apprende soltanto vivendo la quotidianità, coinvolgendosi con la realtà e correndo il rischio di perdersi: richiede pazienza, coraggio e fiducia, ma principalmente esige intelligenza, e la volontà di scoprirne l’originalità per poi liberarne i talenti.
Tuttavia nell’attuale società, molti sono quelli che hanno adottato il mestiere di “pompieri”, coloro che spengono facilmente la fiamma del desiderio, i sogni e le energie dei più giovani: e sono sempre pronti a puntare il dito. Ritenendoli incapaci. Eppure nessuno è inadeguato alla vita. Purtroppo tanti adulti, più che alimentare la vita, la spengono irridendo e mortificando l’originalità dei giovanissimi: la vita però fiorisce se la si lascia esprimere nella quotidianità, mentre reprimendola muore.
Il Vangelo di questa domenica ci presenta Gesù che ritorna nella sua patria: cammina in mezzo ai suoi concittadini, in un giorno comune, ma non può compiere le opere di Dio, perché viene deriso e disprezzato in quanto vittima di pregiudizi. Dicono che è il figlio del falegname e membro di una famiglia come tante: non può essere che proprio Lui sia l’inviato di Dio. Molti restano stupiti di ciò che dice e fa, tanti altri scettici perché ritengono impossibile che compia cose grandi e meravigliose. Anche noi quante opportunità perdiamo a causa della mancanza di apertura verso l’altro, per l’arroganza e la superbia. Gesù non può agire, non perché sia un Dio minore, depotenziato, ma semplicemente perché Lui rispetta la libertà di ciascuno: difatti è la fede che opera il miracolo e non viceversa.
Il cristianesimo non è la storia di un super eroe che ha bisogno di effetti speciali per accrescere il numero dei fans, ma è l’esperienza ordinaria dell’amicizia straordinaria di un Dio che cammina tra gli uomini, con il volto umano, lo sguardo compassionevole e le mani tese: è la scoperta di una presenza amorevole nella quotidianità e non la straordinaria vicenda di un extraterrestre. È bello sapere che Dio è tra noi, sceglie l’abituale per rivelare sé stesso e rispetta la nostra libertà fino a ritrarsi: infatti è tra i semplici, gli umili e i puri di cuori che dimora e compie le sue opere più significative. Non agisce mai con prepotenza e arroganza, tantomeno utilizza stratagemmi: ma affronta persino il rischio del nulla per amore nostro.
Tante volte succede anche a noi, di non essere apprezzati, perché vittime di pregiudizi: ma questo non ci deve scoraggiare. Abbiamo tanto bisogno di crescere secondo la logica e lo stile evangelico: tutte le volte che non siamo riconosciuti nella nostra fede, e veniamo irrisi e disprezzati, ritenuti incapaci di compiere le opere di Dio, pensiamo che siamo più simili a Gesù.
#farsiparola
Chi ha testimoniato l’amore di Gesù anche se derisa e disprezzata è stata Rita da Cascia (1381-1447/1457). Nata probabilmente a Roccaporena (Cascia). Si tratta di una santa molto nota, infatti la sua devozione è diffusa in tutto il mondo. Monaca agostiniana, prima di entrare nel monastero di Santa Maria Maddalena era sposata con un uomo violento, del quale sopportò con pazienza i suoi maltrattamenti, ottenendone la riconciliazione con Dio. Anche per andare in Chiesa chiedeva il permesso al marito. Inoltre lottò con tutte le forze di una mamma per strappare i figli all’odio e alla vendetta del padre, di più al peccato, vero nemico del paradiso. Negli ultimi quindici anni della sua vita, portò sulla fronte il segno della sua profonda unione con Gesù Crocifisso. La letteratura su santa Rita la presenta come “una rosa che non appassisce mai”, “la santa dei casi impossibili”, costellata “più da spine che da rose”, come “la storia d’ amore e di sangue, di vendetta e di perdono”, “l’ esempio di santa Rita”.
Ciò che desidera è imitare Cristo e per questo pratica la “spiritualità del cuore”: che non è da confondere con il disimpegno dalla realtà della storia, bensì come una maggiore partecipazione alla salvezza storica. Infatti la conversione e l’ uccisione del marito, come la morte dei figli, nasconde certamente un frammento delle violenze politiche e sociali del suo tempo, però la sua azione di riappacificazione tra la sua famiglia e le altre che vi erano coinvolte, ha fatto di Rita da Cascia la santa socialmente impegnata che implora e si attiva per la pace familiare e di quella sociale.
Paolo Greco