#parolaviva
In quel tempo, Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo, e per la strada interrogava i suoi discepoli dicendo: “La gente, chi dice che io sia?”. Ed essi gli risposero: “Giovanni il Battista; altri dicono Elìa e altri uno dei profeti”.
Ed egli domandava loro: “Ma voi, chi dite che io sia?”. Pietro gli rispose: “Tu sei il Cristo”. E ordinò loro severamente di non parlare di lui ad alcuno.
E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto, ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere.
Faceva questo discorso apertamente. Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo. Ma egli, voltatosi e guardando i suoi discepoli, rimproverò Pietro e disse: “Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini”.
Convocata la folla insieme ai suoi discepoli, disse loro: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà”.
#vivilaparola
Spesso la gente è curiosa, parla, si informa, è bramosa di sapere, soprattutto quando si tratta di personaggi famosi, o persone da copertina che creano clamore e scalpore. I riflettori si accendono anche su vicende di cronaca, con gradi di share altissimi: l’occhio dei social si fissa per giorni e giorni, sul racconto di storie e volti fino ad allora sconosciuti ai più. In tal modo presumiamo di acquisire conoscenze e ci facciamo un’opinione di esistenze lontane dalla nostra, che di colpo sono divenute vicinissime, intime, asfissianti.
Emotivamente coinvolti andiamo alle ricerca anche dell’ultimo e minimo dettaglio sulla vicenda personale che ha rubato la scena del palcoscenico: e poi per settimane stiamo a discutere su chi è il colpevole e chi l’innocente. Il più delle volte incuranti del dramma consumato e della sofferenza dei protagonisti: alla grande mangiatoia mediatica ognuno si accomoda pur di fagocitare un boccone che possa placare la fame di esistere. Si. Perché di questo di tratta. Di un grido, del bisogno di vivere, e quando non si vive abbastanza la propria vita, si fruga nell’esistenza degli altri, fino all’esasperazione.
Il Vangelo di questa domenica ci presenta Gesù attraverso Villaggi, tra strade e domande, seguito dalla folla entusiasta: qualcuno lo acclama come un potente profeta, alcuni credono che sia l’incarnazione del grande moralizzatore, per altri è un comune profeta. La fede è un’esperienza personale, va a vedere in prima persona e non si ferma ai si dice: spesso la nostra fede si ferma al giudizio dell’opinione pubblica. Gesù ci chiama a conoscerlo di persona, e umilmente chiede cosa dice la gente di Lui, poi interroga: “Voi, chi dite che io sia?”. Non basta una conoscenza anonima, attraverso terzi, ma possiamo conoscere chi è, solo per esperienza diretta, altrimenti restano soltanto opinioni e discorsi vuoti. Insignificanti per la nostra vita. Soltanto frequentando Dio possiamo arrivare a dire chi è Dio per noi: per Pietro, il primo tra gli apostoli, Gesù è il “Cristo”, l’inviato dell’altissimo, il salvatore. Un espressione di fede profondamente vera, sincera, autentica: tuttavia quando Gesù pronuncia apertamente il discorso della croce, tutto diventa estraneo. Pietro lo chiama in disparte e lo rimprovera, gli parla di un’altra storia, di altri sogni, di un altro dio.
Spesso questo accade anche a noi, che pure pronunciamo perfette formule di fede, più o meno conosciamo il catechismo, ma ci è sconosciuto il Dio della vita, quello che attraversa le contraddizioni della carne, l’insuccesso e la sofferenza: facciamo fatica a seguire il Dio libero, umile e amorevole, senza maschere che sceglie la via della croce per rivelare al mondo il suo sogno. Gesù è molto duro con Pietro, perché nonostante abbia capito con la testa, non ha conosciuto con il cuore: ha una fede ancora ambigua, perché è mosso dal soffio divino ma al contempo preso dal sussurro del male; lo chiama addirittura “Satana”, in quanto ostacolo al progetto salvifico del Padre. La fede non è sapere le formule teologiche correttamente, pronunciare il “credo” alla lettera, e non avere capito niente di Dio: la fede è fidarsi di Gesù e seguirlo nell’oradel calvario, il luogo dell’amore.
Si tratta di stare dietro a Lui e non davanti. Il cristiano resta sempre un discepolo di Gesù, anche se ha compiti di responsabilità. Solo così possiamo attraversare le ambiguità della nostra fede. Perché scopriremo chi è veramente Gesù, soltanto se ci lasciamo purificare dal crogiuolo della croce, così da poterci conformare alla profondità del sogno di Dio.
#farsiparola
Chi ha seguito Gesù ed ha purificato la sua fede nel cruguiolo della croce è stato Laura Nicolodi, ragazza di appena tredici anni. Giovanissima, frequenta appena la terza media, si ritrova a dover affrontare un tumore, che la porterà a girare vari ospedali, da Trento a Padova fino a Berna in Svizzera e quindi ad Arco (tn) per finire i suoi giorni il 1° settembre dello stesso anno. Nelle tre paginette di diario che scrive mentre si trova in una clinica di Padova, ragiona con una lucidità di fede che è sorprendente: «Sono affranta, abbattuta, vorrei non esserci, scomparire da questo mondo che mi pare buio e crudele. Perché una ragazzina piena di vita è costretta a letto con la flebo, perché deve soffrire, perché?».
E dopo qualche ora continua e annota: «Prima di addormentarmi ho concluso che tutto ciò rientra nei piani del Signore, che non possiamo contrastarli, ma anzi io Lo ringrazio dal profondo del mio cuore, perché mi ha dato la possibilità di soffrire e di entrare (spero) nel regno dei cieli. Infatti Gesù ha detto ai sofferenti: “Di voi è il Regno dei cieli” e perciò io spero di diventare sempre più buona per riuscire a meritarlo».
La storia di Laura Nicolodi è una vita comune, come tante sue compagne.
Era nata a Trento il 19 agosto 1971 e ancora piccola si era trasferita a Malcesine, sul lago di Garda, dove papà Bruno e mamma Tarcisia gestivano un albergo.
Lì frequenta le scuole elementari, mentre le medie a Castelletto di Brenzone in una scuola tenuta dalle suore dell’Istituto Sacra Famiglia, fino a quando la malattia la strappò dal mondo dello studio che tanto le piaceva. Solo dopo l’irreparabile, si è scoperto e composto, come per un puzzle, tanti piccoli particolari della sua vicenda, che messi insieme ci danno l’idea di quale significativo tesoro di fede si nascondeva nel suo cuore.
Racconta Germana, una sua compagna delle medie: «Ciò che mi affascinava in lei era il suo ottimismo e la sua gentilezza e bontà… Laura non si scoraggiava mai, ed era convinta di non dare ancora abbastanza agli altri, voleva sempre dare di più: in alcuni momenti sembrava quasi che la sua vita non le interessasse più di tanto, ciò che importava per lei era donarsi al prossimo, aiutare i più incapaci e quanti ne avevano bisogno».
Quando un giorno il papà si permise di chiederle se i suoi professori erano contenti della sua disponibilità ad aiutare le compagne, rispose con semplicità: «Tutti mi vogliono bene, perché non dovrei aiutare?».
Paolo Greco