#parolaviva
In quel tempo, Giovanni disse a Gesù: “Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva”. Ma Gesù disse: “Non glielo impedite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me: chi non è contro di noi è per noi.
Chiunque infatti vi darà da bere un bicchiere d’acqua nel mio nome perché siete di Cristo, in verità io vi dico, non perderà la sua ricompensa. Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, è molto meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare. Se la tua mano ti è motivo di scandalo, tagliala: è meglio per te entrare nella vita con una mano sola, anziché con le due mani andare nella Geènna, nel fuoco inestinguibile. E se il tuo piede ti è motivo di scandalo, taglialo: è meglio per te entrare nella vita con un piede solo, anziché con i due piedi essere gettato nella Geènna. E se il tuo occhio ti è motivo di scandalo, gettalo via: è meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo, anziché con due occhi essere gettato nella Geènna, dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue”.
#vivilaparola
Per quanto si dica e si provi a non cedere all’idea di un’esistenza aperta, libera e proiettata verso il futuro e dal largo respiro, si tende sempre a restringere il cerchio, circoscrivere il perimetro e difendere i confini del proprio piccolo mondo: pensiamo che il bene possiamo farlo solo noi, mentre gli altri sono tutti cattivi. Sarà perché l’umano è un filo d’erba, fragile, sempre bisognoso di aggrapparsi a quelle condizioni che gli garantiscono certezza e sicurezza.
Siamo tutti alla ricerca di tutele e garantirci delle difese, e per affermare sé stessi si giunge anche a distinguere, il noi dal voi, rafforzata quando è figlia di una elezione e appartenenza a qualcuno o qualcosa. Sempre più di frequente si manifesta il pensiero che afferma, questo è il mio gruppo, voi siete gli altri, e via di seguito: eppure c’è un senso di appartenenza che non esclude la possibilità di fare il bene per chi è fuori da un gruppo comunitario. La vita è un bene ricevuto che si sviluppa soltanto in una dinamica di apertura, riconoscimento e libertà.
Il Vangelo di questa domenica ci presenta Gesù ancora in cammino verso Gerusalemme, ma il clima attorno a Lui è fortemente cambiato. È costretto ad usare parole sferzanti, affinché ci svegliamo da una finta fede che riduce il cristianesimo ad un semplice club: ancora una volta la nostra prospettiva umana viene ad essere capovolta. Gesù travalica ogni frontiera e frantuma ogni tentazione di autoreferenzialità. Noi invece di accogliere, spalancare le porte e il cuore, di gioire per chi si avvicina al Signore, di benedire il cielo se lo Spirito contagia anche chi “non è dei nostri”: innalziamo muri, costruiamo frontiere, mettiamo dogane, rilasciamo patenti di buona condotta, a chi riteniamo bravi cattolici e chi no.
Meno male che Dio non ragiona così. Addirittura diventiamo polemici, sospettosi, inutilmente rancorosi: prontissimi a giudicare soltanto gli altri. Il cristianesimo è un’altra cosa, Gesù lo afferma senza equivoci, noi lo abbiamo appesantito di tanti orpelli che, allontano molti dalla bellezza sempre attuale del messaggio di amore contenuto nel Vangelo: tutti sono chiamati, la fede è libertà, di Spirito Santo c’è né è per tutti, e soffia dove vuole e come vuole, perché vuole la salvezza di tutti e tutti chiama alla causa del Regno. Ancora c’è tra i cristiani, erroneamente, chi pensa che la struttura della Chiesa esaurisca i confini del Regno di Dio, è che in essa è contenuto tutto il Regno di Dio.
In verità è la Chiesa che fa parte del Regno, ma non lo esaurisce, perché lo Spirito sparge a piene mani i semi dell’unico Verbo, in ogni persona, popolo e cultura. Con questo non si afferma che non abbiamo bisogno della Chiesa, identificarsi con una comunità, accostarsi ai sacramenti e seguire un cammino di fede in parrocchia o nei movimenti ecclesiali, ma soltanto che non è possibile definire chirurgicamente, chi è dentro e di chi è fuori. “Chi non è contro di noi è per noi”: ha detto Gesù. Allora perché vogliamo vietare di fare il bene in nome di Dio? “Chiunque infatti vi darà da bere un bicchiere d’acqua nel mio nome perché siete di Cristo, in verità io vi dico, non perderà la sua ricompensa”. Altra cosa è chi si serve del nome di Dio per ingannare i fratelli, affermare il proprio dominio e guadagnare denaro: è motivo di scandalo che grida giustizia davanti al cielo e agli uomini.
#farsiparola
Chi pur non essendo nel perimetro della Chiesa Cattolica, ma ha operato il bene per i fratelli in giro per il mondo è stato Gino Strada: è stato chirurgo e fondatore di EMERGENCY (Sesto San Giovanni, 21 aprile 1948 – Honfleur, 13 agosto 2021). Considerato da molti il santo chirurgo laico, per lui “I pazienti vengono sempre prima di tutto”: a conoscerlo meglio si vedeva che sapeva sognare, divertirsi, inventare mille cose, con uno spiccato senso di giustizia e solidarietà. Sul sito di Emergency di trova scritto di Gino Strada: Si laurea in Medicina e Chirurgia presso l’Università Statale di Milano e si specializza in Chirurgia d’Urgenza. Per completare la formazione da medico-chirurgo, negli anni Ottanta vive per 4 anni negli Stati Uniti, dove si occupa di chirurgia dei trapianti di cuore e cuore-polmone presso le Università di Stanford e di Pittsburgh. Si sposta poi in Inghilterra e in Sud Africa, dove svolge periodi di formazione presso l’ospedale di Harefield e presso il Groote Schuur Hospital di Città del Capo.
Nel 1988 decide di applicare la sua esperienza in chirurgia di urgenza all’assistenza dei feriti di guerra. Negli anni successivi, fino al 1994, lavora con la Croce Rossa Internazionale di Ginevra in Pakistan, Etiopia, Tailandia, Afghanistan, Perù, Gibuti, Somalia, Bosnia. Nel 1994, l’esperienza accumulata negli anni con la Croce Rossa spinge Gino Strada, insieme alla moglie Teresa Sarti e alcuni colleghi e amici, a fondare EMERGENCY, Associazione indipendente e neutrale nata per portare cure medico-chirurgiche di elevata qualità e gratuite alle vittime delle guerre, delle mine antiuomo e della povertà. Il primo progetto di EMERGENCY, che vede Gino Strada in prima linea, è in Ruanda durante il genocidio. Poi la Cambogia, Paese in cui resta per alcuni anni. Nel 1998 parte per l’Afghanistan: raggiunge via terra il nord del Paese dove, l’anno dopo, EMERGENCY apre il primo progetto nel Paese, un Centro chirurgico per vittime di guerra ad Anabah, nella Valle del Panshir, iPaese opera migliaia di vittime di guerra e di mine antiuomo e contribuendo all’apertura di altri progetti nel Paese. Dal 2005 inizia a lavorare per l’apertura del Centro Salam di cardiochirurgia, in Sudan, il primo Centro di cardiochirurgia totalmente gratuito in Africa. Nel 2014 si reca in Sierra Leone, dove EMERGENCY è presente dal 2001, per l’emergenza Ebola.
In un suo piccolo si trova il perché della infaticabile attività: “Quel che facciamo per loro, noi e altri, quel che possiamo fare con le nostre forze, è forse meno di una gocciolina nell’oceano. Ma resto dell’idea che è meglio che ci sia, quella gocciolina, perché se non ci fosse sarebbe peggio per tutti. Tutto qui. È un lavoro faticoso, quello del chirurgo di guerra. Ma è anche, per me, un grande onore” (Lettera da un chirurgo di guerra, trascrizione da “Pappagalli Verdi”).
Paolo Greco