#parolaviva
In quel tempo, mentre Gesù andava per la strada, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?». Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. Tu conosci i comandamenti: “Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre”».
Egli allora gli disse: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza». Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!». Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni.
Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: «Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!». I discepoli erano sconcertati dalle sue parole; ma Gesù riprese e disse loro: «Figli, quanto è difficile entrare nel regno di Dio! È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio». Essi, ancora più stupiti, dicevano tra loro: «E chi può essere salvato?». Ma Gesù, guardandoli in faccia, disse: «Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio».
#vivilaparola
Ogni esistenza custodisce domande che alimentano l’andare dell’uomo in una direzione piuttosto che in un’altra: già gli antichi filosofi sostenevano che una vita senza ricerca non vale la pena di essere vissuta. Talune conducono oltre, sino a divergere da ogni sentiero già tracciato, nel punto dove la domanda si consegna ad una presenza inattesa, dove il tormento si trasforma in consolazione. L’interrogativo sulla vita, costringe ad ammettere che non bastiamo a noi stessi e che abbiamo bisogno dell’altro, di un Altro, per vivere: illuso è chi crede che la vita è possesso e denaro. L’esistenza non è solo pulsione di conservazione e accumulo, ma anche spinta in avanti verso il mare aperto, l’ignoto, perdita: per questo non ci soddisfano le risposte a buon mercato dei venditori di facili guadagni.
Avvertiamo il desiderio di più vita, di gustarla affondo, scorgerne il mistero, ma è soltanto se abbiamo il coraggio di immergerci in essa completamente che possiamo gustarne il sapore autentico: per conquistarne di più bisogna perdere qualcosa. Questo però non lo accettiamo, vogliamo vivere di più e meglio, essere felici, attaccati ai nostri beni. Tutto il nostro affanno, fatiche e lotte sono qui. Ma la vita è altrove. Certo i beni materiali ci servono per vivere, ma non bastano per vivere bene.
Il Vangelo di questa domenica ci presenta ancora Gesù in cammino, sulla strada, dentro la vita vera, presente dove battono le domande più scomode e contraddittorie dell’esistenza. Questo Dio che posa gli occhi sugli ultimi, che non ha timore del sudore, di sporcarsi con la polvere, sentire il puzzo della gente di strada, commuove, affascina, consola. Provoca. Suscita domande. Scardina certezze acquisite. Mentre è intento in queste cose, un tale gli corse incontro e si getta ai suoi piedi, si tratta di ciò che viene definito dagli esegeti, il giovane ricco che porge la domanda da cento milioni di dollari: “Maestro buono, cosa devo fare per avere la vita eterna?”. Cosa si deve fare per avere una vita vera, buona, felice? Non gli bastavano le ricchezze che possedeva. Non è il denaro e le cose che danno la vita. Ma altro. Quel giovane aveva tutto, ma di fatto non aveva la cosa più importante.
Rispetta anche la legge religiosa, è un buon credente, pratica i comandamenti, ma neanche questo gli basta. Gli manca ancora qualcosa. Gesú fissatolo indica la strada dell’amore – “Va vendi quello che hai, dallo ai poveri, poi vieni e seguimi” – la strada per la vita vera è un cuore libero, capace di amare, fare spazio all’altro. Ma il cuore di quel giovane era troppo pieno, legato e prigioniero di tanta roba, è triste, narra il Vangelo, fece ritorno a casa. Un cattivo attaccamento alle ricchezze diventa un ostacolo per seguire Dio, ma la religione cristiana è la religione dell’amore che libera e dilata il cuore, di a il giusto posto alle cose: le ricchezze sono per l’uomo, e non l’uomo per le ricchezze. Quando diveniamo schiavi delle ricchezze, la vita muore. Questo ci spaventa, come successe ai discepoli di Gesù che rimasero sconcertati dal fatto che è difficile per un ricco entrare nel regno dei cieli, ma sapere che ciò è impossibile all’uomo, ma possibile a Dio, ci conforta e dà speranza.
A noi è richiesta soltanto la disponibilità di fare un poco di spazio a Dio nel nostro cuore, togliere qualche attaccamento disordinato e lasciarci amare da Lui. Vivere nell’orbita di Dio è abbracciare la semplicità e la condivisione, come stile di vita. È di Dio chi è attaccato alla ricchezza eterna.
#farsiparola
Chi ha lasciato tutto ed ha seguito Gesù è stata Maddalena Canossa. Di sua volontà rigettò tutte le ricchezze del suo patrimonio per seguire Cristo e fondò i due Istituti dei Figli e delle Figlie della Carità per promuovere la formazione cristiana della gioventù povera. Nata a Verona nel 1774, da una delle famiglie più illustri del tempo, presto perde il padre e viene abbandonata dalla madre. A 7 anni viene affidata a un’istitutrice. A 17 si trova nel Carmelo di Trento e poi in quello di Conegliano (Tv). Nel 1801 tornata a casa stupisce tutti per il suo talento di amministratrice. Ma di nozze non si parla. E improvvisamente ospita due povere ragazze, raccolte per strada.
L’accoglienza alle due ragazze doveva essere solo un intervento di pronto soccorso, ma lei non vuole tenerle lì estranee, come esseri inferiori.
Devono avere casa propria (loro due e tantissime altre come loro) dove sentirsi padrone, istruirsi e realizzarsi al fianco delle maestre; e accanto a lei, la fondatrice, che nel 1808 otterrà da Napoleone l’ex convento delle Agostiniane veronesi, iniziandovi la vita comune. Inizia così, con altre ragazze in difficoltà, un’esperienza di vita in comune che prenderà il nome delle “Figlie della Carità”, suore educatrici dei poveri. Da quel momento aprirà altre sedi a Brescia e a Cremona, ma nel 1835 muore a 61 anni. Di lei già si parla in vita come di una santa: così dicono le cronache del tempo, definendo Maddalena “beneficientissima fino alla prodigalità”.
Ma soprattutto ha dato tutta sé stessa, consumandosi per l’opera, che crescerà ancora dopo la sua morte. Alla fine del XX secolo avrà oltre 2.600 religiose, operanti in tutto il mondo. Giovanni Paolo II l’ha proclamata santa il 2 ottobre 1988. La data del culto per la Chiesa Universale è il 10 aprile, mentre l’8 maggio viene ricordata dall’Istituto delle Figlie della Carità – dette Canossiane – dai Figli della Carità e dai Laici Canossiani, perchè l’8 maggio 1808 è la data ufficiale dell’inizio dell’Istituto Canossiano nella sua Verona.
Paolo Greco