#parolaviva
In quel tempo, mentre Gesù partiva da Gèrico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timèo, Bartimèo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!». Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!».
Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». Chiamarono il cieco, dicendogli: «Coraggio! Àlzati, ti chiama!». Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù.
Allora Gesù gli disse: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». E il cieco gli rispose: «Rabbunì, che io veda di nuovo!». E Gesù gli disse: «Va’, la tua fede ti ha salvato». E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada.
#vivilaparola
Lungo le strade polverose della storia, giace la vita immobile di chi ha perso la luce, ha smarrito il senso e dimenticato l’amore: avvolto dal buio, sprofonda nella notte, sedendo nell’oscurità più fredda colui che non ha più un senso. Nella solitudine di esistenze abbandonate si levano gemiti, sussurri silenziosi e preghiere accarezzate dal vento inquieto e bizzarro che le porta lontano: eppure dall’umile terra si rinasce dalla disperazione che tutto inaridisce e conduce alla morte. Un grido di salvezza squarcia il cielo, nell’attesa che qualcuno accoglie il lamento e riporti a galla quanti dal dolore si sono lasciati lavorare, perché manca l’aria che consente di respirare dove tutto è chiuso.
Come paralizzati ai margini si sta, il tutto è qua, tra gente che passa e voci più forti che si confondono e si sovrappongono, stranieri nella propria casa eppure cittadini del mondo, incapaci di muovere un passo più in là, mendicanti di quella vita che alzarsi e camminare desidera.
Il Vangelo di questa domenica ci presenta una scena esplosiva, siamo alle porte di Gerico, la città dove le carovane dei pellegrini si raccolgono, e tanti mendicanti si aggirano in cerca di una monetina. Tra questi si trova un cieco, Bartimeo, seduto a terra. Sentendo che passava Gesù il Nazareno, è come scosso da un brivido improvviso: alza lo sguardo, si fa coraggio, comincia a gridare il suo dolore, non si vergogna: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!». Gesù all’udire quel grido si ferma e dice ai presenti di andarlo a chiamare, così chiamano il cieco, dicendogli: «Coraggio! Àlzati, ti chiama!».
Quale meraviglia e stupore avrà sentito quel povero cieco dimenticato da tutti: gettato via il suo mantello, balzò subito in piedi e si presentò da Gesù che gli disse «Che cosa vuoi che io faccia per te?». È bello sapere che Dio è qui per noi, ascolta i nostri lamenti, il dolore che attraversa le nostre vite. Non è sordo al nostro grido. È qui per fare qualcosa per noi. Siamo tutti come Bartimeo, mendicanti di luce e di amore, di vita. Ma anche gli inviati a rialzare chi è a terra. Quando la sofferenza si trasforma in preghiera, il cielo si apre, Dio si ferma per noi, e si mette all’opera. Allo stesso modo dovrebbero fare anche i credenti.
#farsiparola
Chi ha saputo essere testimone dell’amore di Dio che rialza chi è ai margini della vita, mendicante di luce e di amore è stata Cotija, Michoacán (Messico), 6 febbraio 1867 – Guadalajara dove fondò L’Istituto delle Serve dei Poveri, che vivono interamente affidate alla Provvidenza Divina. Ultima di quattro figli, al battesimo ebbe il nome di Dorotea (“dono di Dio”): di famiglia umile ma povera, poté comunque darle un’educazione cristiana e compì i suoi primi studi con il fratello Eligio che era maestro. Crebbe con una spiccata devozione a Gesù Bambino, invitando anche i suoi amichetti a pregare con lei; in questo periodo, ricevette la Prima Comunione nella sua Parrocchia. Dopo una lunga malattia, curata dalle suore vincenziane, guarì e ritornó a prestare servizio nell’ospedale dove era stata ricoverata.
Con la direzione spirituale del canonico Miguel Cano e con il motto di San Paolo “la carità di Cristo ci anima”, madre Vicentita di S. Dorotea, fondò la Congregazione delle Serve della SS. Trinità e dei Poveri. Il servire i poveri ammalati, era un modo per glorificare Dio, nell’esercizio della più disinteressata carità. La sua vita era tutta dedita al prossimo, che con zelo e abnegazione servì con pazienza, ardente carità e tenerissima compassione: nella sofferenza di ogni persona vedeva e curava Gesù sofferente. Agli ammalati e sofferenti madre Vicentita diceva sempre: “Continuate con animo generoso lungo il cammino della Croce: ricevetelo tutti come segno della Volontà Divina”.
Nel 1914 le truppe rivoluzionarie di Don Venusiano Carranza, nell’ambito della persecuzione contro la Chiesa Cattolica e della Guerre civili di quell’epoca, occuparono anche Guadalajara e le Suore vissero momenti terribili, ma quando nel 1926 l’ospedale di S. Vincenzo de’ Paoli a Zapotlánel Grande fu occupato dai militari feriti, le suore l’assistettero con immutata carità, senza tenere conto che erano nemici e persecutori della Chiesa. Il 29 luglio 1949 ebbe un attacco cardiaco, suscitando allarme nell’intera Comunità, il 30 ricoverata all’ospedale della SS. Trinità di Guadalajara si aggravò, ricevé l’Estrema Unzione, venne l’arcivescovo della città per confessarla e celebrare la S. Messa e all’elevazione dell’Ostia, madre Vicentita, concluse la sua vita terrena.
Paolo Greco