Ma quale è il pensiero degli studenti sulla ricorrenza del 4 Novembre? .
Cosi i discenti del liceo scientifico agnonese e nello specifico quello di Marino D’Onofrio della Quinta liceale del Giovanni Paolo I° che nella celebrazione di ieri in piazza ha sottolineato come: “celebriamo oggi una tra le date più memorabili della nostra storia, una data che ci ricorda la prova durissima sostenuta dal popolo italiano per coronare l’opera del Risorgimento, ricongiungendo alla patria le altre terre italiane e, per sempre sigillando, con il sangue di oltre 600000 caduti, l’indipendenza e l’unità del Paese. Infatti, dopo importanti ed eroiche battaglie da parte dei nostri soldati l’Italia vinceva la guerra il 4 Novembre 1918 e il generale Diaz annunciò quanto segue:
“La guerra contro l’Austria-Ungheria che l’Esercito Italiano, inferiore per numero e per mezzi, iniziò il 24 Maggio 1915 e con fede incrollabile e tenace valore condusse ininterrotta ed asprissima per 41 mesi, è vinta”.
E così titolava anche il Corriere della Sera del 4 Novembre 1918: “L’Austria ha capitolato”. Per l’Italia è la fine della Guerra, ma per l’Austria è la fine di un grande impero.
La fine di ottobre segna il momento più drammatico per l’Italia: la rotta a Caporetto, iniziata il giorno 24 in seguito a una massiccia offensiva austro-tedesca. Il generale Armando Diaz sostituisce Cadorna al comando supremo. Il fronte del Piave resiste ad ulteriori offensive austro-tedesche, mentre viene istituita una Commissione d’Inchiesta sulle cause della disfatta di Caporetto. Sempre in ottobre, Germania e Austria chiedono l’armistizio agli Stati Uniti. Nello stesso tempo, ha inizio l’offensiva finale delle truppe italiane, che dal Grappa e dal Piave disperdono l’esercito austriaco. Il 3 Novembre 1918, poche ore dopo la riconquista di Trento e Trieste, i delegati austriaci erano costretti a firmare l’armistizio a Villa Giusti, nei pressi di Padova. Il giorno successivo il generale Diaz annunciava la vittoria con il proclama alla nazione.
La parola “vittoria” era pronunciata in tutto il Paese, nonostante intere zone fossero devastate dalla guerra, l’economia fosse disastrata e si contassero 680000 caduti, oltre un milione di feriti e 600000 prigionieri.
In questa realtà drammatica, però, l’esercito aveva ottenuto il risultato di riunire quanti, per estrazione, lingua e provenienza, avrebbero difficilmente potuto incontrarsi. Quei giovani si erano trovati ai confini settentrionali a combattere, fianco a fianco, per causa comune e sotto un’unica bandiera.
La Prima Guerra Mondiale deve quindi essere considerata il primo evento bellico in assoluto che abbia impegnato completamente i paesi partecipanti, di diversi ceti e apparati statali, nonché delle masse operaie e contadine. Nello spazio di pochi mesi, infatti, sembrarono sovvertite le preclusioni ideologiche e gli orientamenti culturali che, per un lungo periodo, avevano costituito le direttive fondamentali per la quotidianità della vita sociale, e il caso più paradossale va ricercato proprio nel prevalere degli impeti nazionalistici e patriottici che alimentarono la Grande Guerra, a volte anche a discapito di quelle stesse istanze solidaristiche e cameratistiche.
La retorica nazionalistica, come sappiamo, si è compiaciuta nel proclamare la trincea del 14-18 come luogo di nascita della nazione, per molti strati sociali rimasti sino ad allora del tutto marginali.
La Grande Guerra, dunque, segna ad un tempo l’apogeo della nazione-stato e la premessa della sua delegittimazione, anche se il processo sarà molto lungo e contorto. Possiamo ben dire che l’Europa moderna si è estinta nel fuoco della Prima Guerra Mondiale, con il suo carattere di radicale novità apportata, per l’irriducibilità del conflitto economico, politico e ideologico che l’ha attraversato e in quell’ “inutile strage” che non ha conosciuto né vincitori né vinti, ma, unicamente il tramonto della civiltà europea, terreno di incubazione dei futuri sistemi totalitari. Infatti, benché le tensioni precedenti alla Guerra fossero scaturite da attriti radicati nel tempo tra gli stati, il conflitto aperto scoppiò soprattutto per incapacità di controllo, sia sul piano diplomatico che su quello tecnico-militare.
Sappiamo bene, però, che nel 1914 non era certo solo l’ideologia a dividere i belligeranti, se non per il fatto che si dovesse combattere la Guerra da entrambe le parti mobilitando l’opinione pubblica, ossia proclamando che si dovessero difendere dalla minaccia nemica soprattutto i valori nazionali. Infatti, il 4 Novembre è anche la giornata delle forze armate che, istituite per conferire onori agli oltre 65000 caduti fra le fila italiche, costituiscono un’istituzione di riferimento per il paese per l’intera comunità internazionale in quanto, con la loro opera e con l’aiuto degli strumenti militari di stati amici e alleati, contribuiscono a costruire la sicurezza e la stabilità nelle aree più critiche del mondo.
Tra l’altro, proprio nella difesa della pace, così come nella tutela dell’unità, della sicurezza e dell’indipendenza nazionale, consiste il fine ultimo delle forze armate, garanti e depositarie dei più alti valori spirituali e morali consegnatici dalla lotta di liberazione. Così recita l’articolo 52 della nostra Costituzione:
“La difesa della patria è sacro dovere del cittadino. Il servizio militare è obbligatorio nei limiti e modi stabiliti dalla legge e il suo adempimento non pregiudica la posizione di lavoro del cittadino, né l’esercizio dei diritti politici. L’ordinamento delle forze armate si informa allo spirito democratico della repubblica”.
Tra l’altro, proprio per questo motivo, la promozione di forme di governo democratiche rientra nell’Agenda 2030, un programma d’azione sottoscritto nel 2015 dai governi dei 193 paesi membri delle Nazioni Unite. Nello specifico, l’obbiettivo 16 dell’Agenda è dedicato all’edificazione di società pacifiche ed inclusive a cui concorrono istituzioni responsabili ed efficaci ad ogni livello.
Inoltre, non va dimenticato in questa odierna commemorazione nessuno dei valorosi uomini impegnati nel conflitto, dal primo dei generali alle enormi masse di fanti contadini, martiri e difensori della patria. Di questa orrenda carneficina faranno testimonianza gli sterminati cimiteri di guerra e le innumerevoli lapidi erette in onore dei caduti nelle piazze di ogni borgo e città. Ma nessun monumento tramanderà più efficacemente di quello al Milite Ignoto, di cui oggi celebriamo il centenario, il ricordo dell’ecatombe avvenuta sul campo di battaglia di tutta Europa, il cui spirito di sacrificio incarna gli ideali di libertà e democrazia di cui noi oggi godiamo.
“Che la salma di un soldato italiano, che non si sia riusciti a identificare, rimasto ucciso in combattimento, sul campo, venga solennemente trasportata a Roma e collocata al Pantheon — simbolo della grandezza di tutti i soldati d’Italia, segno della riconoscenza dell’Italia verso tutti i suoi figli, altare del sacro culto della Patria”. Così recitava la proposta del colonnello Douhet, approvata il 17 Luglio del 1920.
Infatti, esattamente 100 anni fa, il 4 Novembre 1921, con una solenne cerimonia, ebbe luogo la tumulazione del Milite Ignoto nel sacello dell’Altare della Patria. Tutte le rappresentanze dei combattenti, delle vedove e delle madri dei caduti con il Re Vittorio Emanuele III in testa e le bandiere di tutti i reggimenti attesero l’arrivo del convoglio nella capitale e mossero incontro al Milite Ignoto per rendergli solenne omaggio. Prima della tumulazione, un soldato semplice pose sulla bara l’elmetto da fante. Il feretro veniva quindi inserito nel sacello e quindi tumulato in quel monumento che poteva ora ben dirsi Altare della Patria.
Onorare la festa del 4 Novembre significa, quindi, ascoltare il simbolico richiamo ad un passato che non dobbiamo mai dimenticare, traendo proprio dal ricordo, un insegnamento profondo e sentito, nella fierezza di esserne giusti eredi”.