#parolaviva
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«In quei giorni, dopo quella tribolazione,
il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo
e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. Egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo.
Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l’estate è vicina. Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, è alle porte. In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno. Quanto però a quel giorno o a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre».
#vivilaparola
Anche se pare averla rimossa, la domanda di ciò che attende questa nostra vita, resta presente nell’intimo del nostro cuore: cosa accade alla nostra vita? Alla terra dove viviamo? A questo nostro mondo? Indaffarati preferiamo camminare a testa bassa, perché ciò che si presenta ai nostri occhi non piace affatto: il sole non splende più chiaramente, pare malato, tra le guerre, l’avvelenamento della terra e la minaccia di una pandemia che non ci dà tregua, l’egoismo di una società che ha puntato tutto sull’avere più che sull’essere, questo mondo è più fragile.
Ci sentiamo più vulnerabili, come se da un momento all’altro si precipitasse, e lamentosi cerchiamo quelle sicurezze che ci garantiscono dal male, vogliamo capire ma viviamo di incomprensioni: eppure un desiderio di bene si muove nel fondo del cuore, una spinta verso più vita, una speranza che non si rassegna, un’intima fiducia che non tutto muore, bensì qualcosa nasce anche nell’aridità di un presente senza ossigeno. Allo sguardo trasparente di chi non cede i raggi di luce che rischiarano il buio, sono evidenti, come di chi riscalda il lungo inverno che sembra coprire le nostre esistenze: non mancano uomini e donne, vecchi e bambini che nel silenzio del quotidiano fecondano con i loro gesti la germinazione di un mondo nuovo.
Il Vangelo di questa domenica ci presenta Gesù che ci risveglia dal sonno in cui spesso cadiamo, attraverso un linguaggio simbolico e per certi versi difficile da capire, ma familiare per i suoi contemporanei, che attendevano da un momento all’altro il giorno del Messia: anche se la terra sembra sbriciolarsi, il cielo coprirsi di nubi, dalla pianta di fico impariamo che quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, l’estate è vicina. Così anche Dio, nonostante le contraddizioni della storia, è quel sole che non tramonterà mai dagli orizzonti, né dal cuore dell’uomo.
Tanti sarebbero i motivi per ammainare le vele della nostra imbarcazione e rinunciare, fermandosi nel porto: il timore prevale sul desiderio di prendere il largo e il tremore ci paralizza. Non per ultimo, ma anche per le contro testimonianze di una Chiesa che brucia di vergogna: la notte sembra essere calata anche dove regnava il sole.
Tuttavia il creato ci insegna che una gemma racconta di un futuro sorprendente, del futuro di Dio, misteriosamente sempre presente tra noi, Colui che è il sempre nuovo e continua a venire nei nostri inverni freddi, riscaldandoci con il calore del suo amore: non come un dito puntato, ma come un abbraccio, un germogliare umile di vita. Allora non c’è da essere scoraggiati, in ansia per la rotta da seguire, tristi per i nostri fallimenti, perché soffia sopra il nostro mare un vento nuovo che accompagna la barca della vita e del mondo, la barca della Chiesa, e la lampada della Parola di Dio è accesa sulla prua.
#farsiparola
Chi non ha mantenuto viva la speranza anche in un contesto di disperazione è stata suor Gloria Cecilia Narváez, delle Francescane di Maria Immacolata, rapita dai jihadisti in Mali il 7 febbraio 2017 e restituita alla libertà il 9 ottobre scorso. Per quattro anni e otto mesi è stata tenuta prigioniera e molti temevano per la sua vita: la fede è stata il sostegno nei duri momenti della prigionia. Ai media vaticani, la religiosa colombiana racconta qualcosa della sua e di cosa abbia sostenuto in lei la speranza. La Congregazione francescana a cui appartiene stava rispondendo a un bisogno molto grande che c’è a Karangasso, in Mali. Le suore erano impegnate in un centro di assistenza sanitaria per la gente dei vari villaggi, un orfanotrofio – che spesso ospitava decine di bimbi orfani della mamma morta di parto – l’alfabetizzazione, il ricamo e il cucito.
Si occupavano tra le altre cose anche di microcredito per il piccolo commercio nel mercato specie per le donne, perché potessero contribuire al mantenimento della famiglia. I risultati sono stati enormi, le suore hanno ottenuto che queste attività non chiudessero e tuttora continuano, ad eccezione del microcredito, tutte gestite da donne del posto con la supervisione della diocesi. Per questo suor Gloria Cecilia Narváez viene rapita, ma ha raccontato di non avere .ai temuto per la sua vita, perché aveva una grande fiducia in Dio. Mi sono detta, ha dichiarato: “Quel che sarà, sarà”. Era disposta a dare la vita per il suo Dio, dal quale non si è mai sentita abbandonata, ha continuato a dire: “Soprattutto quando recitavo i Salmi, quando potevo camminare un po’ per il deserto e guardare la grandezza del creato, il sole che spuntava la mattina, i cammelli che procedevano lungo le montagne di sabbia. In ogni momento sentivo questa grande sicurezza in Dio”.
Ciò che l’ha sostenuta era quanto ripeteva spesso durante le preghiere: “non c’è un Dio così grande come il nostro Dio, ciò che vuole lo fa nel cielo e sulla terra. Ripetevo sempre: il Signore è la mia luce e la mia salvezza. Ero grata al Signore che aveva reso possibile la mia libertà”.
Paolo Greco