#parolaviva
Nell’anno quindicesimo dell’impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetràrca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetràrca dell’Iturèa e della Traconìtide, e Lisània tetràrca dell’Abilène, sotto i sommi sacerdoti Anna e Càifa, la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccarìa, nel deserto.
Egli percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati, com’è scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaìa:
«Voce di uno che grida nel deserto:
Preparate la via del Signore,
raddrizzate i suoi sentieri!
Ogni burrone sarà riempito,
ogni monte e ogni colle sarà abbassato;
le vie tortuose diverranno diritte
e quelle impervie, spianate.
Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!».
#vivilaparola
Nessuno sceglie dove nascere, se dalla parte ricca del mondo, oppure dalla parte più povera: non è un merito trovarsi di qua o di là, quanto la risposta che ciascuno dà al suo venire alla luce. Ciascuno può scegliere se restare alla luce e come, oppure nascondersi e spegnere la fiamma dell’esistenza: tuttavia siamo sempre tentati di rifugiarci in qualche bunker e metterci al sicuro. Ma la vita fiorisce solo se abbiamo il coraggio di correre il rischio di viverla: è vero a volte ci sembra un dono, mentre altre una condanna, per quello che ci troviamo ad affrontare. Un’opportunità, oppure una disgrazia, nonostante ciò che accade attorno è chiamata a farsi storia: nessuno può sfuggire alla sua aderenza con la terra e le sue iperbole. In questa storia, siamo chiamati a fare la storia oppure subirla, esercitando le nostre scelte, nonostante i limiti, e conducendo le nostre battaglie quotidiane: anche se nascere in una periferia del sud, dove non ci sono i riflettori accesi ma solo polvere da mangiare, soffia il respiro di una vita che vuole comunicarsi.
A volte è proprio dai luoghi più impensabili, dalle persone più sconosciute che viene fuori una parola, un sogno, una luce capace di avviare quei processi decisivi della storia.
Il Vangelo di questa domenica ci racconta cosa accade nella periferia più estrema dell’impero: la premessa è talmente pomposa da lasciare presagire l’avvenimento di qualcosa estremamente importante. Salvo poi presentare subito dopo il colpo di scena: nelle regioni dove regnano i re, appare un uomo su cui è la parola di Dio, vestito di pelli di cammelli, la cui voce attraversa la polvere del deserto.
Si tratta di un fermo immagine, l’autore sembra volere catturare ogni dettaglio, in modo tale che ciò che era anonimo, d’allora in poi non lo potrà essere più: per chi osserva da lontano sono movimenti anonimi, questioni religiose di esagitati; per quanti sono coinvolti si tratta dei movimenti sorprendenti di un Dio che cammina nel deserto. Lui è un inguaribile ottimista. È proprio vero che da dove meno ti aspetti viene Dio, dai luoghi esclusi dal centro, e attraverso sentieri a Lui noti, agli uomini meno, viene ancora a portare la salvezza da quanto toglie il respiro.
Non sono o regni di questo mondo a portare la salvezza di cui l’uomo ha bisogno, ma è ciò che viene da Dio. Per cui il cristiano ogni anno invoca la venuta della luce di Dio nel buio del mondo: attende non passivamente ma in maniera attiva e prepara il cuore ad accoglierlo. Perché non c’è luogo, condizione, peccato che possa impedire la venuta di Dio, però noi abbiamo la libertà di decidere se dargli ospitalità e aprirgli la porta per farlo entrare, oppure di chiuderla, e lasciarlo fuori dalla nostra vita.
#farsiparola
Chi si è fatta voce dell’amore di Dio per i fratelli e lo ha testimoniato con la sua vita è stata Suor Leonella Sgorbati: nacque il 9 dicembre 1940 a Rezzanello di Gazzola (Piacenza), ultima di tre figli. Il papà, Sgorbati Carlo era agricoltore, e la mamma, Vigilini Giovannina, massaia. Nell’immediato dopoguerra, per assicurare il pane per la famiglia, il papà decise di trovare alternative alla vita di agricoltori e avviò una rivendita all’ingrosso di frutta e verdura a Sesto San Giovanni (MI). Il 9 ottobre 1950 tutta la famiglia si trasferì in quella periferia milanese, dirà: “Milano era una città mostruosa, dove la gente si muoveva come una forsennata, a passi da gigante, sempre indaffarata, e io pensavo solo a fuggire”.
Infatti tentò la fuga e riuscì a tornare per un anno alla sua amata Rezzanello. Poi la morte del papà Carlo, avvenuta il 16 luglio 1951 e la famiglia decise di mandarla in un collegio di Suore. La direttrice un giorno si avvicinò a una Rosetta insofferente e le offerse un libro: “Prendi questo libricino e prova a leggerlo”. Quel libricino era il Vangelo. Seduta nella piccola cappella del collegio, davanti al quadro della crocifissione che si trovava sopra l’altare, iniziò un dialogo sempre più intenso con il Signore.
Rosetta si sentiva attratta dalle parole del “libricino” che vedeva incarnate nella brava Suora direttrice, e decise di impegnarsi a vivere secondo questa Parola. Seduta nella piccola cappella del collegio, davanti al quadro della crocifissione che si trovava sopra l’altare, iniziò un dialogo sempre più intenso con il Signore. Rosetta si sentiva attratta dalle parole del “libricino” che vedeva incarnate nella brava Suora direttrice, e decise di impegnarsi a vivere secondo questa Parola.
Fu in quella cappellina che ricevette un dono grande, il più grande che una persona possa ricevere, come Suor Leonella racconterà – che, a contatto con la Parola di Gesù, qualcosa di grande le capitò; esperienza che affidò al suo Diario e che la segnò per la vita: “… mi sono sentita ABITATA in quel lontano giorno – aprile 1952 – … e tu mi hai tenuta in te, mio Signore, oppure sei rimasto tu in me…. Mai più sola…ABITATA…” .
Tornata in famiglia dopo le classi commerciali, i parenti si stupirono della trasformazione avvenuta: non solo la ragazza era maturata come persona, ma rivelò un progetto di vita che non avrebbero mai immaginato: desiderava farsi Suora missionaria. Il 20 maggio 1963 iniziò il postulato a Sanfré (CN), primo tempo di vita in comunità e introduzione alla vita religiosa. Concluso il cammino di formazione fu destinata alla missione in Kenia: tra le attività delle missionarie vi era il lavoro nell’ospedale, con annessa scuola per infermiere. Suor Leonella si dedicò al reparto maternità: cento letti e un bel gruppo di allieve ostetriche.
Ci teneva a seguire bene le giovani tirocinanti, e le piaceva molto il contatto con loro. Un giorno alla fine delle lezioni, Suor Leonella uscì dall’edificio, sorrise a Mohamed, che la stava aspettando per accompagnarla e proteggerla, e si avviò verso casa. Dopo pochi passi, forse cinque metri, si udì uno sparo: un proiettile aveva raggiunto la sorella. Le ultime parole furono: “perdono, perdono, perdono”.
Paolo Greco