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I genitori di Gesù si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero.
Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme.
Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte.
Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Ed egli rispose loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?».
Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro. Scese dunque con loro e venne a Nàzaret e stava loro sottomesso. Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini.
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Ogni vita è figlia dei giorni dello stupore, profezia e benedizione, cammino di crescita e tensione verso il compimento, germoglio di primavera anche d’inverno: ogni figlio d’uomo è nascita, seme di grano buono e fragranza di pane profumato che inebria la casa di un dolce candore da cui scaturisce il ritmo della danza dei sogni impossibili.
La generazione di una vita richiede il coraggio di affrontare il rischio della notte, scendere nel buio e nel silenzio ed accompagnare i battiti flebili di un cuoricino che comincia a farsi spazio e si apre ad una storia in cui le difficoltà non mancano.
Quanto bisogno abbiamo di ritornare a quei giorni, a quando tutto zampilla di vita, all’abbraccio di sguardi che vedono di nuova luce tutte le cose, anche quelle vecchie, mentre nell’intimo vibra un canto che anticipa il futuro e contagia di gioia tutto il mondo. Crescendo però perdiamo la memoria dei giorni puri, quelli dove la gioia innaffia anche la terra più dura, e cediamo alla logica del mercato dove tutto è competizione, allora accade che tutto diventa grigia abitudine: ogni cosa sembra un ostacolo da superare, tutto è sempre uguale, nulla originale, mentre il banale si impone, e prende il sopravvento l’accidia.
Improvvisamente l’apatia sopraggiunge e cancella i colori, gli odori, e il calore delle stelle, i sogni si trasformano in incubi, le ispirazioni perdono respiro, e l’immaginazione è ferita nel suo slancio: tuttavia quell’uomo non più bambino, desidera nascere ancora e venire alla luce, restarci, dare corpo ai suoi sogni e trovare il senso per i suoi giorni, una speranza per cui vivere.
Il Vangelo di questa domenica ci presenta l’episodio di Gesù dodicenne tra i dottori del tempio, non più bambino, sono lontani i giorni del parto, anche se liturgicamente questa pagina segue subito quella della nascita a Betlemme: cresce in età e anche in sapienza, scruta le scritture e chiede a Dio, tanto da provocare lo stupore di tanti.
Anche la madre ed il papà restano meravigliati e preoccupati, allo stesso tempo, del suo comportamento, infatti lo rimproverano perché si è trattenuto nel tempio allontanandosi da loro senza avvisare. Ma la sua risposta desta ancora più interrogativi, come un figlio ingrato dice alla mamma in ansia che chiede spiegazioni: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Nessuno capisce cosa voglia dire, il perché di quell’atteggiamento, di tanta sfacciataggine, eppure lo hanno cresciuto con tanto amore quel figlio nato nel mistero, ma in cuore loro conservano gelosamente ogni frammento in attesa che il tutto gli sia più chiaro: essere genitori è un compito complicato, si tratta di cooperare all’opera di Dio, richiede pazienza e tanto amore, custodire e prendersi cura del sogno di un altro, del sogno di Dio e accompagnarlo a fiorire, chiede il dono di una vita.
Un figlio non è mai proprietà privata, ma è terra di Dio, davanti al quale dobbiamo togliere le scarpe perché è sacro: la mamma ed il papà sono chiamati a trattare con molta attenzione e possono solo accompagnare a sbocciare, rispettandone i silenzi e ascoltandone i sussurri. In ogni figlio d’uomo è Dio che attende di risplendere, quando si maltratta un bambino, gli si nega il diritto ad essere si tradisce Dio: educare un figlio è un’arte che si apprende lentamente e soltanto affrontando i fallimenti, gli errori, le incomprensioni e delusioni si impara e si guadagna il privilegio di essere chiamato papà e mamma.
Non è solo la generazione biologica che definisce la maternità e la paternità, bensì la generazione umana, infatti è favorire la seconda nascita che ci fa realmente genitori, quella che genera ad essere pienamente umani, capaci di bene e di giustizia. È bello pensare che la famiglia è la casa dove Dio sceglie di nascere e venire al mondo: per questo ogni famiglia è testimone della presenza di Dio e del suo amore salvifico.
Anche la Chiesa, sull’esempio della famiglia e Nazareth è chiamata oggi a fare suoi i tratti della santa famiglia e generare Dio nel mondo, prendendosi cura dei bambini e degli ultimi della terra, impegnandosi nell’opera di evangelizzazione e farlo crescere nel cuore degli uomini e delle donne di questo tempo inquieto.
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Chi ha fatto della propria famiglia la casa di Dio sono stati i coniugi Bernardini: nati alla fine dell’Ottocento, hanno messo al mondo dieci figli, otto dei quali diventati o preti o suore: cinque sono suore paoline, una è orsolina, e due frati cappuccini, di cui uno, il più giovane, è arcivescovo di Smirne, in Turchia. Proveniente da una famiglia di piccoli proprietari, Sergio Barberini, i
suoi genitori gestivano un mulino sul fiume Panaro e coltivavano un terreno. Dotato di intelligenza pratica,
imparava facilmente qualsiasi mestiere, tanto da essere chiamato più tardi “l’uomo dai 100 mestieri”.
Sergio ricevette l’educazione morale e religiosa in famiglia, specialmente dalla madre, donna saggia e forte. Quando Sergio Bernardini conosce Domenica Bedonni era vedovo e provato dalla morte dei propri genitori e dei suoi tre bambini.
Oberato dai debiti per le spese mediche e dei funerali, partì per gli Stati Uniti per andare a lavorare in una miniera per poi ritornare a Modena, dove incontra Domenica Bedonni, che sposerà. Domenica nasce a Verica (Modena) il 12 aprile 1889 da Enrico Bedonni e Matilde Caselli, contadini
proprietari della casa e della terra, molto religiosi.
Viene educata in famiglia alla preghiera e alle opere di
carità, specialmente con l’esempio, frequenta la catechesi in parrocchia e riceve l’istruzione elementare
nella scuola del paese. Verso i diciotto anni, dopo una predicazione missionaria in parrocchia, provò un
momentaneo desiderio di vita consacrata; ma presto si orientò verso il matrimonio e alla famiglia. Una famiglia numerosa dal cuore grande, infatti
prendono in adozione anche un seminarista africano, Felix Ade Job, che poi divenne in Nigeria sacerdote e vescovo, presidente della Conferenza episcopale.
Si tratta di autentici testimoni del matrimonio cristiano, Sergio e Domenica hanno vissuto nella semplicità e nella fede, affrontato prove e difficoltà, sono stati testimoni credibili per la Chiesa. Con queste motivazioni Papa Francesco ha deciso che i due servi di Dio sono venerabili, una coppia di sposi italiani che hanno educato alla fede e all’amore per i poveri anche i loro figli, che ne hanno assimilato gli insegnamenti e soprattutto l’esempio seguendo Gesù nella Chiesa e mettendosi a servizio degli ultimi.
Nel dopo guerra in Emilia Romagna i comunisti, accesi di odio contro la chiesa, uccidono numerosi
sacerdoti e altri cristiani eminenti. Sergio, per la sua aperta testimonianza di fede, viene inserito nella lista
di coloro che saranno eliminati dopo la probabile vittoria elettorale del 1948. Negli anni 1950‐1951 Sergio e Domenica coltivano un certo desiderio di consacrarsi al Signore, per seguire più da vicino l’esempio dei figli
e per poter pregare meglio e più a lungo.
Dissuasi dal loro direttore spirituale, il padre Cipriano Nellini,
comunque da allora prolungano il tempo della preghiera e trascorrono anche vari periodi nelle case dei religiosi.