#parolaviva
In quel tempo, Gesù cominciò a dire nella sinagoga: “Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato”.
Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: “Non è costui il figlio di Giuseppe?”. Ma egli rispose loro: “Certamente voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!””. Poi aggiunse: “In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elìa, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elìa, se non a una vedova a Sarèpta di Sidòne. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro”. All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.
#vivilaparola
Il canto di una speranza nuova è l’intima attesa di ogni persona che non cede alla possibilità di un mondo diverso che coltiva bel cuore: alza lo sguardo verso un orizzonte più ampio e profondo chi è animato dal soffio di un vento divino. Si tratta di un desiderio di vita e di libertà che spinge l’esistenza oltre gli steccati costruiti dall’interesse del proprio ego, verso spazi aperti, ignoti, creativi. Spesso siamo imprigionati in un presente che non ci permette di liberare quanto ci sta nel cuore, pensiamo di non essere adeguati, e lasciamo che le paure del giudizio degli altri paralizzi le nostre energie interiori. C’è sempre qualcuno che vuole fermare il vento, bloccare i sogni, l’energia e la creatività che ci abita: chi si è abituato alla routine di una società che non ha speranza, e non può generare nulla di buono, raramente si lascia contagiare dal soffio del vento nuovo che abita in chi gli sta accanto. C’è sempre un motivo per non dare credito a qualcosa di bello che sta per accadere: il pregiudizio, l’incredulità, la mancanza di fiducia, l’invidia e la gelosia sono degli ostacoli duri da frantumare. Tuttavia solo seguendo il vento che si trova dentro ciascuno, ascoltandone la voce, lasciandosi portare dalla sua forza, si può attraversare l’opposizione, aprendo varchi di sole, e solchi dove seminare la rivoluzione della bellezza, capace di fare germogliare opere di giustizia e di bene.
Il Vangelo di oggi è il sequel del racconto di domenica scorsa, quando Gesù si trova nella Sinagoga, e di autoproclama inviato da Dio per realizzare la promessa della liberazione dei poveri, degli oppressi e i malati: alla meraviglia di tanti che si chiedono chi fosse costui, si unisce l’incredulità di molti, i quali conoscendo chi era costui, incominciano a chiedergli di compiere miracoli per essere sicuri che fosse veramente l’inviato del Signore. Ma Gesù non si presta al gioco, anzi alza il tiro, dicendo che nessun profeta è bene accetto nella sua patria, e rievocando la vedova di Xareota di Sidone e Naaman il Siri, due stranieri, come esempi di fede, coraggiosi nel credere: i suoi concittadini si sentono offesi, feriti nell’orgoglio, i toni improvvisamente cambiano, adesso c’è indignazione, fino a diventare cattivi, infatti lo cacciano fuori dalla comunità, qualcuno addirittura vuole buttarlo giù dal monte della città.
C’è sempre chi ostacola i sogni di Dio, e non crede alla profezia, scegliendo una fede arroccata sulle sue tradizioni e convinzioni, poco aperta alle novità dello Spirito e ai segni dei tempi: il cristianesimo è seguire Gesù, coraggiosamente fidarsi di Lui e della sua parola, non è certamente costruirsi una religione su misura, dottrinale e moralistica, incapace di cogliere il movimento di Dio che cammina a piedi tra gli uomini, attraversa le strade polverose della nostra città e soprattutto i nostri cuori duri. La fede cristiana è mettersi in cammino più che difendere i propri posti conquistati, esporsi in prima persona come Gesù che non si è lasciato scoraggiare, né avvilire dalle contrarietà, ma ha avuto il coraggio di passare in mezzo alle contrarietà della storia e aprire la strada nuova alla luce divina che viene a illuminare la vita di ogni uomo.
#farsiparola
Chi ha seguito con coraggio e grande fiducia Gesù è stata Anna Maria Rubatto: nata il 14 febbraio 1844 in Piemonte. La sua infanzia fu subito segnata dalla sofferenza, a quattro anni perse il padre e a 19 la madre. Per questo si trasferì a Torino, dove iniziò subito a occuparsi dei più bisognosi, ad esempio insegnando il catechismo e facendo visita ai malati. Nel 1883, Anna Maria si recò a Loano, dove, come ricorda il sito web delle Suore Cappuccine di Madre Rubatto, un giorno, uscendo dalla chiesa, sentì pianti e lamenti dopo che una pietra proveniente da una costruzione era caduta sulla testa di un giovane. Anna Maria aiutò il ragazzo, “lavò e curò la ferita”.
La costruzione doveva ospitare una comunità femminile, e si stava cercando una direttrice. Fu allora che il sacerdote cappuccino Angelico da Sestri Ponente pensò che Anna Maria potesse occupare quell’incarico. Fino a quel momento Anna Maria lavorava negli oratori salesiani, per cui la decisione spettò al suo direttore spirituale e allo stesso Don Bosco. Dopo molte preghiere, decise di far parte di quella nuova famiglia religiosa. Da quella decisione si consolidò il viaggio di Anna Maria verso la santità, perché – dopo aver cambiato il suo nome con suor Maria Francesca di Gesù – nel 1892 solcò l’oceano con altre religiose per fondare delle case a Montevideo, la capitale dell’Uruguay. Il suo operato si diffuse anche in altri Paesi della regione, come Argentina e Brasile.
Il 6 agosto 1904, dopo una vita di dedizione agli altri, la religiosa morì a Montevideo, nel Paese che aveva amato in modo speciale e in cui ha lasciato un’eredità che ha oggi più di 125 anni. È stata beatificata da Papa San Giovanni Paolo II il 10 ottobre 1993, e questo 9 novembre (come quel 22 febbraio) molti in Uruguay sono rimasti sorpresi – forse senza percepire la portata della benedizione ricevuta – per una notizia che passerà sicuramente un po’ in sordina senza apparire sui titoli dei giornali, nel migliore stile di Madre Francisca Rubatto, quando papa Francesco la proclamerà santa della Chiesa Cattolica ed esempio di vita cristiana.
Paolo Greco