#parolaviva
In quel tempo, Gesù, disceso con i Dodici, si fermò in un luogo pianeggiante. C’era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidòne.
Ed egli, alzàti gli occhi verso i suoi discepoli, diceva: “Beati voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio. Beati voi, che ora avete fame, perché sarete saziati. Beati voi, che ora piangete, perché riderete.
Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell’uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i profeti.
Ma guai a voi, ricchi, perché avete già ricevuto la vostra consolazione.
Guai a voi, che ora siete sazi, perché avrete fame. Guai a voi, che ora ridete,
perché sarete nel dolore e piangerete.
Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti”.
#vivilaparola
La felicità ci attrae, ci affascina e ci fa stare bene, siamo disposti anche a soffrire per essa: ogni uomo ne ha diritto, anche se a tanti nel mondo viene negato. Eppure ogni vita porta con sé un ritmo originale, una danza di libertà ed un desiderio di felicità: dall’esperienza della vita sappiamo che la felicità in questo mondo è sempre in briciole, mai piena del tutto, così in attesa della felicità eterna non possiamo che godere delle piccole felicità. Per questo la ricerchiamo, come mendicanti ci mettiamo sui suoi passi, facciamo anche sacrifici pur di ottenerla, a volte affrontiamo grandi rischi per conquistarla, non badiamo a spese pur di ottenerla: a volte prendiamo pure degli abbagli, come illusi inseguiamo false promesse, banditori di felicità a buon mercato che di fatto ci conducono all’infelicità. Il vero dramma infatti è confondere la felicità con i bisogni indotti dal sistema economico che ha fatto del consumismo il nuovo idolo moderno. Ciò che avvertiamo come mancanza non si colma con oggetti, cose e beni di consumo, bensì con il desiderio di autenticità, con sogni di bellezza e progetti di vita buona, principalmente lasciando brillare la luce che ciascuno custodisce in fondo al proprio cuore.
Oggi pensiamo che la felicità sia possedere più cose possibili, ma questo è un inganno, perché la felicità più vera è un esperienza di relazione e non di auto pagamento: si trova nel donare, nel donarsi agli altri e vivere in armonia con il tutto, senza dominare o sopraffare chi è più debole, le persone e il creato. Infatti quando assoggettiamo ai nostri capricci gli altri e la natura, quando prevale la bramosia personale su tutto il resto, siamo tristi e tutto si ammala, anche l’anima lentamente muore.
Il Vangelo di questa domenica ci conduce sui passi del Nazareno che comincia ad annunciare una nuova parola, mai udita, sorprendente per la sua forza e allo stesso tempo folle: la beatitudine, ovvero la felicità, è dei poveri, di chi è affamato, di chi piange, ed è perseguitato, insultato e odiato a causa della propria fede in Lui. Si tratta di una follia. Del capovolgimento di ogni criterio umano di felicità. Il povero, chi ha fame e piange, messo ai margini, non può essere felice. Invece per Gesù è proprio lui che è da ritenersi beato, felice. Mentre chi su questa terra è ricco, sazio, ride ed è acclamato da tutti, deve stare attento.
Ci domandiamo perché di questa prospettiva che propone Gesù? Non di certo perché Egli ce l’abbia con le ricchezze e il benessere terreno, tantomeno è uno che gode nel vedere la gente soffrire, tutt’altro: allora qual è il motivo? Lo stesso Vangelo di oggi ci offre una risposta quando afferma che non sono i beni di questo mondo a rendere infelice l’uomo, bensì l’attaccamento morboso ai beni che uccidono il desiderio profondo di vita, di felicità, di Dio. Un cuore pieno di cose non ha spazio, né libertà per essere aperto all’altro, all’oltre: mentre chi è povero, chi piange ed è maltrattato ha il cuore libero da ogni cosa, ha il desiderio vivo, cerca Dio e in Lui confida e si affida, unica vera ricchezza che rende felice la vita, ossia la rende capace di desiderio. Anche a noi oggi, come alle folle che lo seguiva, a noi che piangiamo, abbiamo fame di vita e avvertiamo ostilità ed emarginazione, dice: “Beati voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio. Beati voi, che ora avete fame, perché sarete saziati. Beati voi, che ora piangete, perché riderete.
Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell’uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo”. Dio ci rende felice quando diveniamo costruttori di pace, fermento di giustizia e operatori di misericordia: si tratta della felicità che offre la fede cristiana, che non è nell’avere tutto e con facilità, bensì nell’attraversare con coraggio, appunto con l’azione di un cuore capace di Dio, le vie tortuose di questa nostra storia.
#farsiparola
Riporto la testimonianza di vita cristiana del giovane Akash Bashir, morto sette anni fa per impedire a un terrorista di farsi esplodere all’interno di una chiesa. Si tratta della prima causa di beatificazione aperta in Pakistan. I fedeli cristiani lo ricordano nelle preghiere, in diverse celebrazioni, e rendono omaggio alla sua tomba. Il postulatore che cura la causa di beatificazione ha dichiarato che la testimonianza di questo giovane pakistano ha avuto una vasta eco anche fra i musulmani. Narra di questa storia vatican.news dove ho trovato le notizie che qui condivido con i lettori. Akash Bashir è un giovane appartenente alla comunità cristiana di Lahore, del quartiere di Youhanabad, è una città molto grande, dove i cattolici sono la presenza più considerevole fra tutti quelli presenti in Pakistan.
Un contesto segnato da povertà, emarginazione, dove testimoniare la fede cristiana è sempre rischioso. In questi anni ci sono stati diversi attentati. Bashir è cresciuto in una famiglia molto semplice, povera, ma dalla grande fede. Il suo percorso di studio ha visto la frequenza dla scuola salesiana di Lahore, dove c’è un istituto tecnico industriale. Un ragazzo impegnato e pronto ad aiutare gli altri, per questo è stato assunto, per la sicurezza dei cristiani nella città di Lahore, in particolare vicino alla chiesa cattolica di San Giovanni. Il suo compito lo ha svolto con generosità e spirito di sacrificio, possiamo dire di autentica donazione per il prossimo.
La domenica del 15 marzo 2015 Akash Bashir faceva parte del gruppo che garantiva la sicurezza intorno alla chiesa di San Giovanni. Si calcola ci fossero circa duemila persone, riporta Vatican.news, a un certo punto Akash Bashir vide correre verso di lui una persona: era un attentatore kamikaze. Akash ha cercato di ostacolarlo nella sua intenzione di entrare e compiere una strage e c’è stata una colluttazione. L’attentatore ha tentato di divincolarsi, ma Akash Bashir ha manifestato in quel frangente la sua forza, la sua fermezza nel difendere la sua missione e la sua fede.
Si dice che abbia pronunciato delle parole molto forti, anche eloquenti: “Morirò, ma non ti lascerò passare”. L’attentatore si è così lasciato esplodere provocando la morte di Akash e di altre 20 persone. Ci sono stati anche diversi feriti, però, la maggior parte delle persone che erano nella chiesa sono state salvate proprio grazie al sacrificio di Akash e all’offerta della sua vita.
Paolo Greco