Isernia, 15 maggio 2022 ore 08,00. La Città si sveglia con i rumori della carovana del Giro d’Italia che estende, a chi ancora è chiuso in casa, la mano per tirar tutti giù dalle scale e riempire le strade cittadine. Ancora non si è concepita la giornata, ma già il fragore delle moto, delle auto e dei caravan delle squadre, sono il presagio ad una giornata decisamente da vivere.
Qualche malumore per la cartellonistica stradale mal messa, per le ordinanze non del tutto chiare, per l’organizzazione non proprio impeccabile. Ma la giornata è di quelle che poche volte possono essere vissute da vicino, ed il frastuono prende il sopravvento.
Ore 9,00 , il sole inizia ad essere partecipe all’ispirazione che il Giro infonde per le vie, le piazze, ed i vicoli della Città Pentra. I caravan iniziano ad essere consapevolmente predatori della città.
La gente finalmente si appropria pian piano delle strade, e la Città si veste di voci, simboli, attrazioni. Un avvicinamento al fatidico sventolio di bandiere rosa, anche se, ad onor del vero, poche per l’occasione. Occorreva fare di più, è la verità, ma chi si accontenta gode, ed il giro d’Italia è come San Remo :- Lo Ami e basta, al di la delle organizzazioni cittadine che comunque sono sempre, per fortuna, surclassate da quelle dell’organizzazione della corsa più bella al Mondo.-
Ci si incontra tra amici e tra un caffè ed un dolce gelato, siamo pronti a goderci la partenza da una Piazza Andrea d’Isernia, che non nasconde l’emozione derivante dalle due ruote. Bici per tutti i gusti : colorate, freni a disco, selle anatomiche, cambio automatico, silenziosissime, prestanti, ma sempre cavallo per uomini che sfidano sole, pioggia, freddo, vento, a volte ancora la neve. Il palco è ricco di maglie colorate. Le squadre fanno bella mostra e il trofeo “ senza fine “,- nome che deriva dalla sua conformazione a spirale,- fa bella mostra di se. Sale la tensione, le bici iniziano a scalpitare per corso Marcelli a seguito di roteanti pedalate da riscaldamento.
Centosessanta ciclisti professionisti si preparano ad arridere allo sforzo che, a causa delle montagne prossime alla partenza e decisamente prossime anche all’arrivo, stancheranno braccia, torace e soprattutto le gambe.
Il vociare si alza sempre più, ognuno dice la sua sui corridori e sul vincitore del Giro. Come spesso accade, anche chi non ha mai visto una gara ciclistica, si professa commissario tecnico, e da li a poco, tornerà a parlare di altro. E’ folklore puro, quello che ci circonda.
E’ giusto così ! E’ festa, e per essere felici e godersela sino in fondo, meglio sorridere e portarsi gioiosi alla partenza. La passerella dei corridori è ormai alla fine, quella della politica invece è senza fine come il trofeo, e le rincorse ai meriti e demeriti è all’ordine del giorno. Neanche il Giro, trancia il cordone della pochezza di una politica, che quello che dice oggi lo fa già vecchio ieri.
La concentrazione sulla partenza è tale che, per fortuna, non determina osservazioni da parte di un pubblico festante che inneggia ai propri paladini dalle gambe lucide e dal sorriso di chi sa che dall’Inferno sempre si arriverà in Paradiso. Inferno come tensione da prestazione, come inizio di un cammino che sarà duro come altre poche tappe del Giro, come tattica ad esclusione, come voglia di salire in alto. – Sarà così, o dall’ inferno si attraverseranno limbi che non ci permetteranno di trovare nobile uscita paradisiaca?–
Un vero dilemma che solo correndo per il Macerone, e scalando le Montagne della Maiella, potrà essere svelato. Ma torniamo al faceto umano, predisponendoci alla partenza, poiché il Paradiso non è in conto. Occorre troppo sforzo, e noi siamo comodi e sempre pronti a vincere seduti sulla poltrona, di casa o da bar che sia, ma sempre poltrona. Ore 11,30, si parte. La bandiera rosa sventola, e l’inferno inizia da subito a far sentire il suo calore.
Calore che viene smorzato immediatamente, prima di corrispondersi con le salite, dalla fresca vivacità del pubblico accorso per le strade di Isernia, trasmesso senza pari all’intera carovana. E così, capannelli spontanei di gente che balla, canta e mostra la parte più semplice e bella di sé, vince sulla non proprio efficiente organizzazione, sull’indifferenza di pochi o di molti, sulla voglia di critica ad ogni costo, sui meriti o demeriti di chi avrebbe dovuto o potuto fare, dire, ringraziare, programmare.
Il passaggio della carovana si veste a festa ed il gruppo folklorico d’Agnone con le sue meravigliose campane, i suoi canti, i suoi balli ed il suo dinamico coinvolgimento, fa la differenza. Suona a festa, oltre che con la voce degli Angeli, con le mani, i piedi, i sorrisi, le movenze e la simpatia di un Pepe’, mai domo all’età ed alla stanchezza. Il Giro è il Giro, e le cose brutte si intascano per nasconderle sino a domani quando tutto è passato, le strade son state ripulite da stralli umani, la forza aggregatrice termina, e si ritorna a parlare di scudetto o di assoluto “ silenzio “. – Cosa resterà del Giro, allora? – Molto, nonostante tutto.
Qualcuno ha ritrovato gli amici di un passato lontano, qualcun altro la serenità di vedersi catapultato in un evento non solito ed insperato, qualcuno ha bevuto più di qualche spritz nella consapevolezza che l’amicizia a volte fa brutti scherzi, ma di gran lunga ben accetti. I ricordi, innegabilmente tornano a riecheggiar nelle menti. Battaglin, Moser, Gimondi, Adorni, Chiappucci, Cassani, Bugno, si fanno strada tra le nuove generazioni, l’inferno della Parigi – Roubaix si paragona al Macerone, e come si può notare, l’inferno torna sempre.
Torna il ricordo di quando andavi a scuola e percorrevi i vicoli attraversati oggi dal giro; la mente spazia tra ammiccamenti, primi baci, voglia di sentirsi già adulti. La gente oggi come allora ti saluta dai balconi normalmente sempre socchiusi, ride, si gode le teste ormai prive di capelli che da terra difficilmente sarebbero così effervescenti nel colore che cambia a seconda del sole catturato dalla calvizie, si torna alla vita che forse non vedremo per altri vent’anni, vent’otto per la precisione.
Questo è il Giro d’Italia che in una domenica di maggio, dedicata alle Prime Comunioni, le quali non hanno distolto neanche i preti dall’inneggiare al Giro prima della Messa, ci ha ridato la tempra del passato per poter sperare in un ritorno a quella gioventù passata che mai ha lasciato al caso, ed a casa, la “Maglietta Rosa”. Chissà cosa avranno pensato i ciclisti all’arrivo del Blockhouse. – Saranno arrivati in Paradiso ?. Speriamo di non attendere la risposta per altri trent’anni.
Maurizio Varriano