Giovanni Minzoni, come Lorenzo Milani e Tonino Bello, nonostante tre storie diverse, tre filosofie comuni ma distanti, erano tre don di cui in questo 2023 ricorre un anniversario importante. Tre preti certamente scomodi, non sempre capiti dalla loro stessa Chiesa se non addirittura, ignorati.
Con parole e gesti diversi ebbero ad urlare la necessità di un cambiamento che la Chiesa avrebbe dovuto fare abbandonando lo stile clericale e tornare nelle piazze, tra la gente e declinare il credo in maniera decisamente più confacente al tempo.
Un pezzo di politica attuale che attanaglia i partiti tutti che invece di parlare al popolo si arroccano in vertici dogmatici che della politica hanno solo il soggetto grammaticale. Don Minzoni nato il 1885 e morto il 23 agosto 1923, denominato il “Matteotti cattolico” da Alberto Comuzzi fu ucciso dai fascisti in quanto oppositore, come disse l’arcivescovo di Ravenna Ersilio Tonini, “perché prete, perché pastore d’anime, in virtù della sua fede”.
Fu giustiziato da alcuni ras locali perché aveva contrapposto il modello cristiano di educazione dei giovani a quello del regime appena nato. Non ebbe timore nel criticare i metodi violenti del fascio locale. Sin da subito, dopo essere stato investito nella figura di prete, si mise a lavorare con i giovani dando vita ai ricreatori e ai doposcuola. Istituisce la biblioteca e per confermare la volontà di un nuovo linguaggio, anche pedagogico, istituisce un teatro parrocchiale.
Sono anni di grandi fermenti sociali, di scioperi a causa di un’industrializzazione tesa a formare nuclei di lobby che mal volentieri si ponevano il problema dello sfruttamento. Il capitalismo non era mai stato, prima d’ora, additato come stortura sistemica. Il socialismo si fa breccia e Don Minzoni risponde, simpatizzando per Romolo Murri e per le sue idee di democrazia, si iscrive al Partito popolare di don Sturzo.
Pone accenti e non lusinga la Chiesa che divide e non aggrega, la Chiesa dei sacerdoti dalla tavola imbandita in nome di Dio. Il lavoro è tanto e sempre meno apprezzato dai vertici di comando. La forza della vita nel cercar sensazioni e discepoli diventa sempre più faticosa e presto scrive della mancata applicazione dei doveri cristiani, non della religione.
Si scaglia contro il perbenismo e contro i pettegolezzi del clero, e pone dinanzi a sé un’azione forte e decisamente mai dogmatica. La prima guerra mondiale lo vede nelle vesti di cappellano e ben presto comprende come il conflitto non sia altro che un’inutile strage, come poi anche Benedetto XV dichiarò. «Iddio non vuole la guerra. Signore, cessate l’immane flagello», questo l’urlo potente di un prete mai domo alla voglia di Pace e libertà.
Terminata la guerra la priorità diventa formare delle coscienze solide, ben temprate sul piano morale. Dà vita al circolo culturale Giosuè Borsi, rivolto agli adulti del paese, poi anche al cinema parrocchiale, e rivitalizza l’Azione cattolica. Infine, nell’aprile 1923, ad Argenta costituì un gruppo scout. Ma la fine della guerra non costruì la pace e bande fasciste si corrisposero alla popolazione, senza risparmiare la Chiesa, con violenze e atti di vandalismo. “Che lotte non si trasformino con mostruoso cinismo, viltà e settarismo, in una guerra civile”, urlò dal pulpito.
Parole forti, chiare, inequivocabili, tanto che la sera del 23 agosto viene colpito a bastonate sul capo da due squadristi. Muore poco prima della mezzanotte a causa delle botte subite. Sebbene vennero individuati colpevoli e mandanti, il processo li vide assolti. Sul delitto cadde ben presto il silenzio. Il tempo ha riaperto la ferita e il suo martirio fu riconosciuto ed è in corso la causa di beatificazione.
A Guglionesi si è pensati, grazie alla sezione Arci cittadina ed al Parco Letterario e del Paesaggio “F.Jovine”, ricordare don Minzoni, non pensando al presente come possibile conduttore di passato ma nella piena consapevolezza che la violenza dettata da fondamentalismi è comunque indice di pericolo democratico e segno di intangibile volontà di prevalere sul debole, su chi si mostra diverso, su chi non cede alla tentazione del trono a tutti i costi.
La guerra in Ucraina che coinvolge senza dubbio l’intero globo è una condizione passata che si manifesta ai giorni nostri e condiziona economia, credo, politica, libertà. L’abbattimento, così pare, dell’aereo russo, notizia del 23 agosto 2023, data del martirio di Don Minzoni, forse, è la causa di quei mali che egli ha combattuto e che egli avrebbe raccolto a sé come condizione di malessere e di quei troni che condizionano le vite, le passioni, la libertà democratica di chi del Mondo non è padrone ma garzone, di chi del Mondo ne fa una palla da poter ostentare nel lanciarla in alto e farla cadere a piacimento.
Il Molise e Guglionesi lanciano un appello e nella speranza che questi venga recepito, urla al mondo la sua voglia di Pace. Don Minzoni ne sarà assolutamente contento!
Maurizio Varriano