La previsione Svimez: il ritmo aumenta e nel 2080 i residenti saranno dimezzati. Anche il turismo è in grandissima crisi, e non sta trainando il Meridione. Il Sud è in gran difficoltà e il Pnrr è già da considerarsi un’occasione sprecata. E andrà sempre peggio, purtroppo. Le Zone Economiche Speciali avrebbero potuto incidere e non poco sull’economia distrettuale di territori diversi e non connessi, ma la miopia di un progetto che ha inteso racchiudere le Zes in un’unica area, che ha maldestramente compreso Sicilia e Sardegna, regioni a statuto autonomo che già godono di benefici, perequazioni, e sostegni senza pari, non fa sperare in nulla di buono.
La situazione del Mezzogiorno in Italia preoccupa, nonostante i fondi del Pnrr, che sarebbero dovuti servire principalmente ad aiutare il Sud a colmare questo gap con il resto del Paese. Preoccupazione accentuata in vista della recente decisione di accelerare sulla Autonomia differenziata che così come concepita, sovrasterebbe la democrazia e la libertà di essere cittadini italiani. Cittadini che sarebbero catalogati in libri delle differenze, non più facenti parte di una nazione unitaria ma sempre più performante verso lidi federali e concepiti per ricondurre ogni cosa a quella Lega Lombarda che, nel fermare il Mondo, scende a Roma e la considera “ladrona”. I dati parlano chiaro, c’è un continuo peggioramento e ciò è sempre più evidente da una proiezione, pubblicata nell’ultimo rapporto dello Svimez, che fotografa il presente e il futuro del Mezzogiorno.
Da qui al 2080 la popolazione a Sud scenderà vertiginosamente: il Meridione avrà quindi quasi la metà degli abitanti di oggi. Negli ultimi venti anni, invece, i residenti in meno sono già stati 1,1 milioni. L’esodo dalle regioni più povere d’Italia, e tra le più povere d’Europa, avrà quindi una accelerazione tre volte maggiore negli anni a venire.
L’Europa che ha sperato, attraverso la più grande occasione d’investimenti pubblici dal dopoguerra, di fermare questo esodo, da una parte da e da altre riprende con i dovuti interessi, ponendosi quale censore della “decantata” forza di ripresa e resilienza. Per dirla alla Vito Teti, la resilienza è la capacità di autoripararsi dopo un danno, di far fronte, resistere, ma anche costruire e riuscire a riorganizzare positivamente la propria vita nonostante situazioni difficili che fanno pensare a un esito negativo. Per resistere però occorre avere una spinta propulsiva che consente una reazione al male. Questa spinta dovrebbe venire dal “Signore” – La Politica- che purtroppo ha abiurato la parola “perequazione” e ricondotto tutto alla competizione che, spesso e volentieri è scorretta, priva di regole chiare, dettata dalla semplicistica modanatura di un concetto sempre più forte: quello che si dice oggi è vecchio già ieri.
Ormai il dado è tratto e le linee non demarcano più nessuna fase di riscontro comune atto a trarne benefici senza artifizi e con la necessaria coscienza di essere fermamente consapevoli del futuro. Il Sud si sta spopolando e il Molise ne è esempio lampante e da studiare. Servizi, scolarizzazione, lavoro, sono ormai intravisti in quel miraggio che ci conduce su un’isola deserta in mezzo a sola sabbia, senza acqua e senza più orizzonte.
La soluzione di istituire ulteriore autonomia, dopo lo scempio dei dettati dell’art.5^ della Costituzione che ha svilito e assegnato alle regioni già materie come Sanità, Turismo e cultura, Agricoltura, ne comprenderebbe altre 23 circa con la conseguente “decretazione” senza appello, direbbe Totò, la morte del Molise e di tante altre regioni che sussidiariamente non godono e godranno di fondi perequativi. Lep, Lea sono chiacchiere al vento che soffiando a 200km orari, spazza via ogni ragionamento che comporterebbe logica e partecipazione.
A confronto delle guerre di religione, davvero tanta roba in atto. Siamo in balia di onde altre 10 metri, che non consentono l’attracco delle navi in porto, distruggendo le parti vitali di esse che, a causa di ciò, sono obbligate a rimanere ferme in alto mare in balia delle onde, sperando possa la calma piatta rinascere a primavera come i cervi che nella stagione dell’amore di ritroneggiano dei propri “palchi” sapendo di continuare a perderli presto e non poterne più mostrare la bellezza e la potenza dettata dalla natura. -Che fare allora? –
La risposta alla domanda è sicuramente fuori dalla portata del comune cittadino che, guardando attraverso i vetri di una finestra “catarattata” dalla condensa, non riesce più a essere libero di pensare lontano e di guardare al futuro con speranza e fiducia di un ritorno, quantomeno, alla normalità.- Vivere o morire?- Questa si che è domanda troneggiante nelle menti di ognuno di noi! Resilienza a parte, la morte attraversa sempre più muri una volta invalicabili, per riprendersi ciò che la vita di un tempo le tolse. Unica speranza che resta è lo shock di sapere che i funerali costano un botto e forse, considerare ancora una volta la vita unica certezza e male minore. Iniziamo finalmente a capire perché in ospedale ci chiamano “Pazienti”.
Maurizio Varriano