#parolaviva
In quel tempo, Gesù diceva [alla folla]: «Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura».
Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra». Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa.
#vivilaparola
Naturalmente cresciamo e diventiamo grandi, gradualmente maturiamo, siamo un prodigio unico nel cosmo, ma anche una domanda aperta in attesa di risposta, una speranza che non si chiude: c’è in noi un sottile e latente demone che ci confonde, rivela la nostra vulnerabilità e allo stesso tempo la condizione di finitudine. Trovandoci esposti al flusso della vita che non riusciamo a controllare, siamo continuamente alla ricerca di qualcosa di forte a cui aggrapparci. Ci muoviamo per colmare un’antica mancanza, così alimentiamo il desiderio, ma spesso cadiamo nel tranello e ci costruiamo un’immagine di noi falsata. Vogliamo affermare la nostra sovranità su ogni cosa. Infatti, cinicamente, scegliamo i nostri accoliti di reggia, imbastiamo legami funzionali al proprio ego, e addestriamo le truppe di adulatori: ci mostriamo sicuri perché debolmente forti ed infine ci ritroviamo, come un re nudo, soli, piccoli esseri in balía del grande universo.
L’illusione beffarda della grandezza effimera, divora molti, dilania corpi e squarcia anime: continui sforzi individuali e collettivi si compiono per allargare il proprio sé e coprire ciò che è. Da qui nascono competizioni e primati, molta preoccupazione, senso di inadeguatezza, l’esperienza del fallimento.
Il Vangelo di questa domenica ci presenta la dinamica del piccolo chicco di grano, il seme piantato nel silenzio cresce e diventa il più grande di tutte le piante del giardino: Gesù parla di un “Regno”di giustizia, di pace e amore. Valori oggi spesso dimenticati. Eppure, anche senza clamore di diffondono. Si tratta di accettare la piccolezza, il seme deve marcire, nascondersi al mondo e lasciarsi bagnare dalla pioggia e scaldare dal calore del sole. Il messaggio evangelico, apparentemente minoranza in questa società, cresce seguendo le vie di Dio e non degli uomini, anche nell’indifferenza dei più alla sua ombra tanti trovano riparo. Molti cristiani si affannano nell’ostentazione di un potere oramai svanito, invece di riscoprire il potere dell’amore: più che rivendicare posti di privilegio nella società dovremmo recuperare la gioia della semina ed essere a nostra volta seme buono gettato nel terreno del mondo e non preoccuparci di apparire ciò che non siamo.
Il cristianesimo non è affermazione di un potere, esercizio di un dominio, mostrare le stole dorate e le poltrone intarsiate, bensì è servizio umile e amorevole, testimonianza della propria piccolezza, accolta, amata e guarita da Dio. Spesso serpeggia tra i credenti un sottile risentimento verso una società a cui non importa molto di ciò che dice la Chiesa: ma questo non deve promuovere discorsi sempre negativi, sprezzanti e appesantire la vita di tutti con una rigida morale, e voler fare ancora assegnamento ai sensi di colpa. Quanto piuttosto fare propria la lezione del granello di senape e vivere con gioia e semplicità la bellezza della fede, anche se per tanti appare insignificante oggi: stiamo attenti perché una fede senza gioia induce a pensare che la vera gioia sia proprio senza fede!
#farsiparola
Chi è stato un piccolo seme del Vangelo, caduto nel terreno, ed è cresciuto diventando più grande di tutte le altre piante nel giardino della storia è Suor Maria Laura Mainetti, all’anagrafe Teresina Elsa Mainetti. Una vita donata due volte, ha detto di lei il Vescovo di Como Oscar Cantoni: “La prima perché tutta la sua esistenza è stata segnata da una generosità profonda, assoluta, gratuita, verso chiunque chiedesse aiuto. La seconda perché, perdonando ha vinto con la forza del bene e dell’amore anche il più grande dei mali”. E proprio come vuole il Vangelo è stata il seme che ha portato molto frutto. Nata a Colico (Villatico) il 20 agosto 1939 Decima figlia di Stefano Mainetti e Marcellina Gusmeroli, rimase orfana della madre pochi giorni dopo essere nata. Venne accudita prima dalla sorella Romilda e poi dalla seconda moglie del padre. Anche suor Maria Amelia, amica della defunta madre, si preoccupò della sua istruzione, facendole proseguire gli studi a Parma presso le suore della sua congregazione, le Figlie della croce e poi l’istituto Magistrale a Roma.
Dell’amore ricevuto durante la sua formazione apprese l’arte del prendersi cura, così iniziò il cammino vocazionale con le Figlie della Croce entrando nel postulantato nel 1957 ed emettendo la professione perpetua presso la casa madre di La Puye in Francia il 25 agosto 1964. Svolse la sua missione educativa in diverse scuole elementari della Congregazione a Vasto, Roma, Parma e Chiavenna dove sarà superiora della comunità dal 1984 alla sua morte. Lei stessa scrisse un giorno: “I giovani, unico scopo della mia vita”. Proprio da chi amava fu uccisa. Attirata con un tranello da tre ragazze all’epoca minorenni, uscì di notte, fu prima stordita con un sanpietrino e poi massacrata a coltellate, e fu luce. Nei suoi ultimi attimi di vita chiedeva perdono per le tre giovani mentre ancora la stavano colpendo.
Ora Papa Francesco ha deciso che la religiosa, assassinata a Chiavenna (Sondrio) il 6 giugno 2000 durante un rito satanico, sarà beata, in quanto uccisa “in odio alla fede”. Agli investigatori le tre ragazze dissero di averlo fatto nel nome di Satana, e molto tempo dopo una di loro in un’intervista spiegò che il delitto, fu deciso per noia davanti a una birra nel bar del paese. Sono passati 20 anni ma l’omicidio ha lasciato una traccia profonda nella coscienza collettiva. Per suor Maria Laura, che la comunità della Valchiavenna ricorda per la sua umiltà, bontà e carità, tenerezza e compassione, il Vaticano aveva avviato nel 2005 il processo di beatificazione e col riconoscimento del martirio si apre definitivamente la strada all’onore degli altari.
Paolo Greco