Pe’ ffaè bbune ‘nu vredette / ce vò tutte ‘na schaffette/ de merluzze e ucchialine, trejje grosse e mazzalline/. Cacche sbaene e scarpetelle/ calamare e seccetelle //Nte scurdae ‘ du’ gragneltte / e nemmanche du’zanghette/ Da’ lecerne e cuccelille ,ne’ de ddu’ tre grangetille/ . Prim’a secce e u’ calamae/ fall’a pizze, se te paere / E, pudoppe azzeffecate/ a na’ tielle , apparecchiaete, / gjiae’ che ll’ijje e pemmadore, / schaefa d’ajje e cacche dd’ore,/che ‘ nu ccone, ‘nu ccuncille,/ pepe, o pure diavelill…./ Mitt’andanne a coce ‘u pesce e, pu, vide che na esce!../
E’ la ricetta vera, quella del brodetto alla termolese, descritta in versi da Raffaello D’Andrea, farmacista e poeta dialettale conosciuto come Don Raffaiele.
Nel 1955 aveva pubblicato presso la locale tipografia Adriatica una raccolta dal titolo “Alcune poesie in Vernacolo Termolese Contemporaneo”. Le pochissime copie rimaste qua e là, hanno indotto i sui nipoti a ripubblicarle in un elegante volumetto dal titolo A Mazze du’ Castille , con il sottotitolo , Alcune poesie in vernacolo termolese. La nuova edizione stampata nel febbraio 2021 da Cierre Grafica Caselle di Sommacampagna ( Verona) ne comprende 197, con una introduzione sul dialetto e le lingue locali e una nota sull’autore la cui produzione poetica ampia e vasta, ne comprende circa 800.
Tra questi moltissimi i sonetti, il genere preferito da un personaggio che nella sua grande cultura, aveva incluso la lingua madre, il dialetto, incitando giovani ad amarlo e praticarlo per distinguersi diceva “ ammiccando, da quelli che parlano giargianese e sdreuss”. Erano questi i termini che connotavano le parlate dei forestieri e dei non latini che abitavano nel circondario.
Nella raccolta poetica c’è Termoli cantata nei suoi quartieri, dal piano di Sant’Antonio al pozzo dolce e poi ci sono i personaggi, i modi di essere e di fare, le tradizioni, il mare, i bagnanti, il modo di vestirsi, le barche, gli artigiani, il commercio, la cucina come quella del famoso brodetto così diverso, dalle altre ricette delle rive dell’Adriatico. Il simbolo vero e proprio della città è nella poesia di cui si conserva il manoscritto, “ A Mazze du’Castille”.
Qui i versi, dall’inizio “ quande nu termȏlese sta luntane “ fino alla fine, sono di una malinconia struggente, ricalcano l’infanzia , la voce delle campane, il mazzomarello, folletto birichino dei tempi andati, di quando la città era paese, quando i ritmi della quotidianità erano scanditi da suoni familiari, dai rumori degli artigiani nelle botteghe, dal carrettiere, dallo stampatore, dall’acqua delle cannelle , dalle corde del violino e dalla catarra battente. Dentro il libro c’è un mondo antico ma bello, a misura d’uomo , con affetti e valori intramontabili. Nelle ultime pagine l’epilogo è la commediola , bozzetto in un atto dal titolo Nu’ Termölese a Roma , in vernacolo termolese e romanesco, veramente divertente.
E poi la chiusura “ 3 aprile 1883 -3 aprile 1973”, la poesia dei sui novant’anni. Scritta proprio in questa circostanza. Un bel libro dedicato alla città, presentato al parco comunale in una bella sera di luglio nell’ambito della Rassegna Scrittori al Parco, in sinergia con l’ Assessorato alla cultura, la Casa del Libro e l’Associazione Frentania Teatri. Le poesie sono state declamate oltre che dal nipote Pasqualino Marino, farmacista come il nonno, da Nicola Palladino e Sebastiano Di Pardo, mitici interpreti , autori e cultori del vernacolo termolese e della cultura locale che, come scrive Luigi Marino nell’introduzione, “ ..non è limitativa, è invece il luogo privilegiato per ricostruzioni che appartengono al sapere storico”.
L’evento è stato moderato non senza emozioni ma accuratamente, dallo storico Antonio D’ambrosio. Un efficace e intervento sul dialetto è stato fatto da Èlena Varanese, molto brava nel delineare la lunga ed articolata storia dei volgari italiani e della lingua nazionale, con la competenza di chi ha curato la trascrizione fonetica di alcune poesie nel sistema di scrittura dell’alfabeto internazionale.
Fernanda Pugliese