#parolaviva In quel tempo, si riunirono attorno a Gesù i farisei e alcuni degli scribi, venuti da Gerusalemme. Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani impure, cioè non lavate – i farisei infatti e tutti i Giudei non mangiano se non si sono lavati accuratamente le mani, attenendosi alla tradizione degli antichi e, tornando dal mercato, non mangiano senza aver fatto le abluzioni, e osservano molte altre cose per tradizione, come lavature di bicchieri, di stoviglie, di oggetti di rame e di letti –, quei farisei e scribi lo interrogarono: “Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani impure?”. Ed egli rispose loro: “Bene ha profetato Isaìa di voi, ipocriti, come sta scritto: “Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me.
Invano mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini”. Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini”. Chiamata di nuovo la folla, diceva loro: “Ascoltatemi tutti e comprendete bene! Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro”. E diceva [ai suoi discepoli]: “Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno e rendono impuro l’uomo”.
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La vita profuma di bello quando nella sua sorgente interiore scorre acqua pulita, quando il cuore è abitato da buoni e sinceri sentimenti: infatti dove accade di incontrare persone così ne restiamo colpiti, ammirati, contagiati. Anche se viviamo in un tempo dove la coerenza non sembra pagare la giusta moneta, sono i gesti dei cuori trasparenti che risplendono e avviano il reale cambiamento. In tanti ricorrono alla pratica di aggiunte artificiali e di forzature, con strategie di maquillage, pur di raggiungere certe posizioni, ma alla prova della storia, sappiamo che queste non reggono. Eppure siamo vittime di una società che ha puntato tutto sull’immagine, con il rischio di lasciarsi ingannare dalle apparenze senza badare troppo alla sostanza: piuttosto dovremmo curare l’immaginazione che riflette un genuino riflesso del nostro intimo desiderio.
Quante fregature abbiamo preso perché le nostre valutazioni sono state dettate più da ciò che sta in superficie, piuttosto che da quello che si trova più in là, nascosto nel fondo della propria anima. Le delusioni si moltiplicano quando diamo più credito a chi offre un’immagine di sé non corrispondente al vero: invece siamo pieni di gratitudine quando pur nella fragilità della propria carne facciamo esperienza dell’autenticità, della coerenza e della libertà.
Gesù nell’episodio narrato dal Vangelo in questa domenica ci dà una lezione che dobbiamo annotare nella pagina della nostra vita. Insieme ai suoi discepoli viene accusato di non rispettare alcune pratiche religiose del tempo, quelle sostenute da convinzioni che dividono il mondo in puri ed impuri: maggiormente chi crede che siano le cose a rendere sporco il nostro cuore e non viceversa. Si tratta di una religiosità che si ferma ad onorare Dio con le labbra, ma il cuore è lontano.
Anche oggi siamo troppo schiacciati su un’idea di religiosità esteriore, fatta di pratiche, orpelli e codici che nulla hanno a che fare con la vera religione: il Vangelo al contrario ci invita a passare da una religione della legge a quella dello spirito. Per meglio dire, ci spinge a maturare nella legge dello spirito, quella che trova solo nell’amore la sua ragione d’essere: ciò che a Dio interessa è il cuore, perché nel cuore di decide il bene da seguire. Non si giudica la propria fede cristiana dalle forme esteriori, bensì da ciò che nasce dalla fontana della vita, da dentro, il luogo dove nascono le intenzioni prima che si trasformino in azioni: non è quello che entra nel cuore dell’uomo che lo contamina, bensì è ciò che esce a distruggerlo.
Attenzione a chi rispetta tutte le regole del catechismo ma poi non è capace di commuoversi e muoversi davanti a chi è in difficoltà. Pensiamo di essere buoni cristiani perché andiamo a messa e rispettiamo i precetti della Chiesa, perché ogni tanto doniamo qualche euro ai bisognosi? Quando poi dentro il cuore sono presenti cattivi pensieri, odio, ingiurie e maldicenze: parliamo male del fratello e non siamo pronti a perdonare la sorella che ci sta accanto. In questo modo siamo ipocriti, e difficilmente un ipocrita è capace di amare: forse per questo tanti giovani non si accostano alle nostre parrocchie, perché allontanati da una fede che non riesce più a declinarsi nel miracolo dell’amore. Per cui si ferma a dire una cosa con la lingua ed a farne un’altra nei fatti: invece la credibilità è figlia della coerenza.
Dio non è presente dove è assente il cuore, infatti Gesù inaugura la religione dell’interiorità, quella che parte da un cuore che si lascia rinnovare dall’amore di un Dio che non si ferma all’apparenza, ma guarda più a fondo, al nostro cuore appunto. La sede da cui vengono fuori le peggiori impurità, per cui è il cuore che dobbiamo purificare dal nostro egoismo e custodire dalla durezza, affinché sia nutrito dai sentimenti di bontà, pace, accoglienza, solidarietà.
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Chi ha scoperto la religione del cuore e si è lasciato purificare dall’amore di Dio è stato Adolfo Retté: “Dal diavolo a Dio” è il titolo dell’autobiografia di quest’uomo singolare, che ha cercato di aggrapparsi agli ideali “più folli e più laici”, pur di non dover venire a contatto con l’idea di Dio, che tuttavia lo “insegue”. Ma mentre crollano tutte le illusioni, nella foresta di Fontainebleau sente una Voce.
Nato a Parigi il 25 luglio 1863,suo padre si trasferì presto in Russia come precettore di un Granduca, mentre sua madre, musicista, si occupava del figlio solo quando ne aveva voglia. Il piccolo Adolfo riceve il Battesimo per iniziativa della nonna, mentre suo nonno, rettore dell’Università di Liegi, ateo accanito, si oppone a ogni sua formazione cristiana.
A 14 anni, Adolfo va in collegio, dove il padre esige che diventi protestante. A 18 anni si arruola per 5 anni nell’esercito francese e conduce vita dissoluta. Ottenuto il congedo dal militare, intraprende “una carriera letteraria”, che sarebbe meglio definire carriera di peccati e di vizi.
Unitosi civilmente con una brava ragazza diventa sempre più violento e aggressivo, infedele, morta prematuramente la prima sposa, trascorre altri anni con una compagna di facili costumi. È ossessionato dalla voglia di schernire la Chiesa, tanto che una sera, a Fontainebleau, davanti a una trentina di operai afferma che la scienza spiega tutto, che la Religione non serve a nulla. Uno degli operai però gli risponde: «Se Dio non c’è, chi ha creato il mondo? Che cosa dice la scienza sull’origine del mondo?». Adolfo ha l’onestà di dire che la scienza non sa spiegare l’origine del mondo.
Da quella sera, gli risuona in mente: “Chi ha creato il mondo?”. Di notte non può più dormire, perché gli ronza sempre in mente la domanda: “E se Dio esistesse…?”. Inizia per lui un periodo di tormento continuo alla ricerca di qualcosa o di qualcuno che spieghi e calmi l’inquietudine del suo cuore. Diventa anarchico, illudendosi che abbattendo tutto, Dio, famiglia, religioni, leggi e tradizioni, gli uomini si abbraccino gli uni gli altri, nella fraternità piena. Ma presto capirà che si tratta di una felicità molto fragile.
Un giorno del giugno 1905, mentre legge il Purgatorio del nostro Dante Alighieri, è colpito dalla gioia delle anime purganti, sofferenti ma liete di espiare per volare al più presto al cospetto di Dio. Un raggio di gioia lo investe: “Ma la Religione cattolica afferma che il peccatore può pentirsi, riparare, diventare amico di Dio, nonostante il peccato commesso? Ma anch’io posso essere salvato? Che fortuna per me, se Dio esistesse!”.
Quando torna a casa, lo accoglie la sua “compagna”, ma Adolfo ormai ha altri pensieri per la mente. Quella non capisce più nulla. L’indomani, nella passeggiata nella foresta, passa in rassegna tutti gli errori e i peccatacci della sua vita, ed esclama: «Sono un uomo finito. Che cosa mi rimane?». Una Voce interiore gli dice: «Non temere. Ti rimane Dio!».
Da quel momento inizia un cammino di conversione, penitenza e rigenerazione cristiana.
Nel 1924, scrive: «A 61 anni, sono un uomo stanco che avendo sofferto molto e studiato moltissimo, comincia a credere. Inoltre pago equamente gli eccessi della mia folle gioventù». Muore a Beaume, l’8 dicembre 1930, festa dell’Immacolata. Sulla sua lapide ha voluto che si scrivesse: «In te, Domine, speravi». Un’immensa influenza di luce sulle anime.
Paolo Greco