#parolaviva
In quel tempo, si avvicinarono a Gesù Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedèo, dicendogli: “Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo”. Egli disse loro: “Che cosa volete che io faccia per voi?”. Gli risposero: “Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra”. Gesù disse loro: “Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?”. Gli risposero: “Lo possiamo”. E Gesù disse loro: “Il calice che io bevo, anche voi lo berrete, e nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato”.
Gli altri dieci, avendo sentito, cominciarono a indignarsi con Giacomo e Giovanni. Allora Gesù li chiamò a sé e disse loro: “Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti”.
#vivilaparola
Dal giorno che veniamo al mondo, in cui siamo messi alla luce, facciamo di tutto per restarci. La vera lotta per la sopravvivenza è proprio questa, stare alla luce, esserci, visibili, in alto, splendenti. Anche se molti tendono a nascondersi, sotto sotto è alla luce che vogliono venire: perché quando siamo nati non possiamo più nasconderci, e giocoforza, facciamo i conti con la fatica di esistere, nel senso più vero del termine, da ex-sisto, appunto, che significa venire fuori. Questo si riflette chiaramente sulla questione del nome, facciamo di tutto affinché esso resti visibile il più possibile. dall’antichità le grandi imprese, dalle festa eroiche, fissavano il nome nella luce per sempre. La gloria in tal caso era legata ad un certo concetto di virtus e scriveva il nome tra i grandi, senza temere di essere offuscati dal tempo che passa.
Nell’evoluzione della storia questo si è mutuato secondo un’idea di perfezione che ha imposto un modello di gloria dove per il fragile non c’era posto. Le grandi ricerche e scoperte culturali in genere, l’espressione dei propri talenti, il superamento di limiti impossibile ai più, hanno segnato poi il passo ad un’altra idea di gloria. Oggi invece si associa l’ambizione, la fama e il potere a tutto ciò: si confonde l’apparire su di una pagina di giornale o sui social con il fissarsi nella luce. Come anche il terminale di più like possibilI sulla propria pagina di facebook o Instagram, e di altri canali della rete. Tuttavia il restare alla luce, la questione del nome, il discorso della gloria, rimanda alla domanda di senso iscritta nel cuore dell’uomo.
Il Vangelo di questa domenica ci coinvolge una discussione tutta interna al gruppo dei dodici che seguivano Gesù: due di loro, Giacomo e Giovanni, avendo sentito parlare del “Regno di Dio” chiedono di essere ammessi nella gloria, uno alla destra e l’altro alla sinistra. Provocando l’indignazione di tutti gli altri. Che pure nutrivano nell’intimo lo stesso desiderio evidentemente. Erano gelosi e invidiosi. Giacomo e Giovanni non sapevano di cosa parlavano, pensavano che il regno di cui Gesù si faceva annunciatore seguisse la logica del mondo, con posti da occupare e privilegi da ottenere. Dove accedere per raccomandazione. Ma Gesù spiazza tutti, è venuto per servire, inaugurare un regno di libertà dove non ci sono capi, dominatori, oppressori, ma soltanto coraggiosi uomini che si sforzano di mettersi al servizio degli altri.
La differenza cristian sta tutta qua, gli altri dominano, ma voi vi metterete a fianco delle persone, o ai loro piedi, e non al di sopra. Gli altri opprimono. Non così tra voi. I cristiani sollevano le persone, le tirano su per un’altra luce. Il cristianesimo non è una lobby che tende ad imporre la propria supremazia, bensì una comunità di persone che vengono alla luce dell’amore di Dio tutti i giorni. Quanto male facciamo, come uomini e donne di fede, che si perdono in litigi, alterchi, invidie e gelosie, competizioni malsane: il più grande dirà Gesù è colui che serve, proprio come ha fatto lui che ha donato la sua vita per amore sulla croce. Solo al Padre è dato di ammettere nel Regno dei cieli, e non ad altri, la competizione se dev’essere ci sia nell’amore e non in altro.
#farsiparola
Chi ha scoperto l’amore di Dio e se n’è lasciato conquistare fino a mettersene al suo servizio è stata Giacinta Marescotti, al secolo Clarice, figlia di una nobile famiglia di Vignanello. Il padre era molto preoccupato per questa figlia che non faceva altro che pensare alle feste, ai divertimenti e a trovare un marito degno di lei. Ma i piani di Dio, si sa non sempre coincidono con quelli nostri. Così accadde pure per Clarice. Innamorata del giovane e affascinante marchese Capizucchi, a cui le preferì la sorella minore Ortensia, la povera Clarice accettò la proposta del padre di entrare in convento, pur non perdonando al genitore di avere facilitato il fidanzamento della sorella con il bel marchese. Con il cuore a pezzi, approdò al monastero di San Bernardino a Viterbo, prendendo il nome di Giacinta e fece voto di castità.
Per non sottostare alla clausura si fece terziaria francescana ma rifiutò i voti di povertà e di ubbidienza. Infatti anche in monastero indossava abiti eleganti per andare a messa e addirittura si fece arredare un appartamentino con mobili pregiati, portati dal castello paterno. La superiora la lasciò fare, perché la famiglia Marescotti era un grande appoggio economico per il monastero. Ma anche sulle righe storte Dio continua a scrivere dritto.
Nel 1615 Giacinta si ammalò gravemente e nella sofferenza, spaventata dal pensiero di poter morire e non vedere più questo mondo che amava tanto, scoprì l’infinita bontà di Dio. Pregava: “O Dio, ti supplico, dai un senso alla mia vita, dammi la speranza, dammi la salvezza!”. E guarì, ma non solo nel corpo. La sua anima aveva trovato il senso della vita: la santità. Così chiese perdono alle consorelle per la sua superficialità e rinunciò a tutto ciò che aveva per mettersi al servizio dei poveri.
Infatti trascorse i successivi 24 anni della sua vita dedicandosi al prossimo, specialmente ai poveri e agli ammalati. Si privó di tutto e grazie all’aiuto finanziario degli amici di un tempo, dalla clausura riuscì a organizzare l’operato di due istituti assistenziali: i Sacconi (così chiamati per il sacco che indossavano i confratelli durante il loro servizio), infermieri che davano aiuto ai malati, e gli Oblati di Maria, che portavano conforto alle persone anziane e abbandonate. Lei stessa donava tutto quel che riceveva ai poveri e il suo esempio fece ritornare alla fede anche molti che se ne erano allontanati. Nel 1640, a 55 anni morì lasciando una testimonianza luminosa di fede e di vita religiosa.
Paolo Greco