#parolaviva
In quel tempo, vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: “Non hanno vino”. E Gesù le rispose: “Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora”. Sua madre disse ai servitori: “Qualsiasi cosa vi dica, fatela”.
Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. E Gesù disse loro: “Riempite d’acqua le anfore”; e le riempirono fino all’orlo. Disse loro di nuovo: “Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto”. Ed essi gliene portarono.
Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l’acqua – chiamò lo sposo e gli disse: “Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora”. Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.
#vivilaparola
La festa è una dimensione importante della vita umana, esprime la profondità dei corpi, le anime danzanti che cercano una finestra di cielo da aprire anche sulla terra: l’esistenza non è solo lavoro, sudore e sacrificio, bensì è fatica per gioire dei frutti raccolti, delle mete conquistate, degli obiettivi raggiunti, maggiormente per condividere con gli altri, con gli amici quanto riempie il cuore. Ogni strada di vita percorsa presenta le sue tavole imbandite, con pietanze e un buon bicchiere di vino, con musiche che suonano e piedi che ballano: le feste del povero poi sono le più felici, alla tavola dei semplici, quelle fatte con poche cose, ma con tanto amore, i sorrisi contagiano anche le pietre.
Tuttavia accade che alle nostre esistenze manca il vino della gioia, siamo tristi, abbiamo paura, ci sentiamo inadeguati, troppo miseri, e la danza non c’è più: così pensiamo di riempire con oggetti e cose inutili, il cuore inquieto che pure anela alla gioe piange di nostalgia per ciò che desidera ma di cui l’ombra neanche intravede.
Il Vangelo di questa domenica ci presenta il primo segno pubblico che Gesù compie, si tratta del famoso miracolo delle nozze di Cana: un testo che tutti conosciamo e tuttavia resta sempre nuovo per ciò che vuole comunicarci. Stupisce sempre il fatto che Gesù, tra tutte le realtà che poteva scegliere per iniziare la sua missione, preferisce proprio la festa di un matrimonio: le nozze per l’ebreo hanno un significato religioso molto forte, esprimono il rapporto che Dio stesso ha voluto stabilire con il popolo, che da non amato, diviene l’amato, la sua sposa (cfr. Il profeta Osea). Scegliendo quel matrimonio Gesù viene a dirci che la fede è una relazione sponsale con Dio, è partecipare alla festa che dura per l’eternità.
Tuttavia si tratta di una festa di nozze insolita per come viene narrata nel testo biblico, gli sposi non appaiono mai in primo piano, mentre il direttore del banchetto viene chiamato in causa, poi manca il vino, ed infine le giare d’acqua che diverranno vino: è ricca di simboli questa pagina, e richiama il bisogno di rivitalizzare la fede che spesso è vittima di una religiosità dove viene a mancare la gioia, ma è soltanto esecuzione di norme e divieti, insomma una religione tutta esteriore, dove manca l’interiorità, il cuore. La fede triste ha bisogno del vino nuovo, e Gesù viene portare quel vino nuovo, la gioia che manca al nostro essere cristiani.
Accade di essere cristiani per abitudine, eseguiamo gesti senza chiederci neanche il perché, pratichiamo ma non c’è più freschezza nella nostra fede, non balliamo e tantomeno comunichiamo gioia. Un cuore triste e apatico non può testimoniare la gioia del Vangelo: non dimentichiamocene. Restano valide anche oggi le parole di Maria, la madre, che intercede per noi: “fate quello che vi dirà”. Facciamo spazio alla sua parola nei nostri cuori, giare piene d’acqua, della nostra umana fragilità e povertà, e vedremo che anche nella nostra vita scopriremo il nuovo vino della festa.
#farsiparola
Chi ha vissuto la gioia della fede e l’ha testimoniata al mondo è stata Suor Erminia Brunetti: un’umile Figlia di san Paolo che, pure nel nascondimento in varie librerie del suo istituto religioso, ha vissuto la grande missione che il Signore le aveva affidato. Nacque a Castiglione dei Pepoli, nel Bolognose, il 17 maggio 1914, e fu battezzata nello stesso giorno col nome di Cesira. A quattro anni le morì la mamma, e fu affidata alla nonna materna, che la educò cristianamente ad una pietà autenticamente profonda e fiduciosa.
Il Signore la stava preparandola ad una missione speciale, fornendola di particolari carismi, a 12 anni ebbe delle percezioni spirituali, mentre a 15 anni sentì la chiamata di Gesù ad una vita di speciale consacrazione. L’incontro con le Figlie di san Paolo, una Congregazione religiosa da poco fondate ad Alba da don Giacomo Alberione, la portò ad entrare nel nuovo Istituto e, dopo un primo periodo trascorso a Bologna, fu trasferita ad Alba. Nel 1932 fu inviata a Palermo per iniziare l’apostolato. Non aveva ancora 18 anni, ma aveva già uno speciale riscontro con il prossimo manifestandosi il carisma del discernimento dei cuori, così da dire a ciascuno la parola di cui aveva bisogno. Da quel modo momento suor Erminia divenne uno “Strumento nelle mani del Signore”. Chiamata a Roma nel 1938 in occasione della professione religiosa, le fu imposto il nome di suor Erminia. L’apostolato svolto tra Pescara, Avellino, e ad Albano laziale nel 1952, con l’incarico di aprirvi una nuova libreria, fu accompagnato dai doni straordinari che suor Erminia viveva con grande ordinarietà e umiltà. In libreria, a quanti andavano a prendere i libri, percepiva chi era in difficoltà spirituale.
Soffriva molto per coloro che non erano a posto con Dio, e si sentì come ispirata ad offrire la sua vita per loro. Fu in queste circostanze che sentì la voce di Gesù che le disse: “Offri la tua esistenza per i sacerdoti. Così mi aiuterai a redimerli”. In questo modo capì la grande missione di madre spirituale dei sacerdoti a cui portare il vino nuovo di Gesù: missione che divenne uno dei cardini del suo apostolato fin all’ultimo respiro. Da Albano successivamente fu trasferita a Mantova, e poi da qui a Catanzaro e a Ravenna. Per questo servizio sostenne tante prove, e continue vessazioni del demonio, fino a darle l’ultimo spintone che la fece cadere in malo modo, e determinò la causa finale della sua morte. Dopo vari ricoveri ospedalieri, essa si spense il 5 settembre 1996 ad Albano, nell’ospedale Regina Apostolurm delle Figlie di san Paolo.
Paolo Greco