Quando non puoi diffondere la “verità”; quando il tuo lavoro di cronista, di giornalista, di operatore dell’informazione e gli eventi della guerra ti rendono profugo. Quando i tuoi racconti della tua terra, soggiogati dall’oppressore, diventano scomodi al punto tale che la tua stessa vita è nel mirino di chi non vuole la democrazia. Quando insegui i tuoi ideali, i tuoi sogni di giustizia che cozzano con quelli dei narcotrafficanti e ti rendono persona scomoda e da eliminare.
E’ quello che sta succedendo a due giornalisti Afghani ospiti a Castel del Giudice, o meglio rifugiati nel paese alto molisano dal novembre dello scorso anno che ora sono pronti a raccontare le proprie esperienze. Fanno parte del Progetto SAI (Sistema di Accoglienza e Integrazione) che ha sostituito lo quello di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati (SPRAR) e quindi il SIPROIMI (Sistema di Protezione per Titolari di Protezione Internazionale e per Minori Stranieri non Accompagnati).
Ali Reza Samim (43 anni, a sinistra nella foto) e il nipote Abdurraziq Ekhtiarbig (25 anni) hanno un curriculum di tutto rispetto nel mondo giornalistico dell’Afghanistan. Sono entrambi laureati dopo aver conseguito i vari titoli dell’iter scolastico. Ora col permesso di soggiorno ambiscono a collaborare con qualche testata giornalistica.
“Alì è laureato in sociologia e filosofia presso l’università di Kabul –ci dicono dalla struttura ricettiva di Castel del Giudice- Ha collaborato con il Ministero della Difesa Afghana per cinque anni nella lotta contro il fenomeno del narcotraffico, partecipando anche ad azioni sotto copertura e successivamente ha trovato lavoro presso una testata giornalistica afghana come manager e coordinatore. A causa del suo ruolo è stato ritenuto dai talebani una minaccia per il regime ed è stato minacciato ed è stato vittima di un attentato insieme alla sua famiglia. Sempre a causa delle minacce e delle torture perpetrate dai raid talebani presso la sede giornalistica, è stato costretto ad abbandonare il suo paese insieme al nucleo familiare, trovando aiuto nel corridoio umanitario di protezione dello Stato Italiano il 26 agosto del 2021.
Abdurraziq, anche lui in possesso dei titoli di studio di scuola primaria, secondaria e superiore, ha conseguito la laurea in economia aziendale. Ha collaborato con lo zio presso la stessa sede giornalistica come reporter ed “Editor senior” e tuttora continua a scrivere articoli per il suo giornale in merito alle condizioni delle donne in Afghanistan.
Entrambi ora sono impegnati in un corso intensivo di lingua italiana previsto dal progetto SAI e parlano correttamente l’inglese, l’afghano, il parsi e l’arabo”.
Una storia drammatica e nel contempo unica ed interessante per il nostro Alto Molise quella dei due corrispondenti che è stata raccontata in un convegno tenuto dall’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici presso il Palazzo Serra di Cassano (NA) il 9 aprile scorso, grazie alla insegnante di italiano della struttura Sai di Castel del Giudice, Luciana Petrocelli, e che certamente troverà spazio, a breve, anche nel nostro Molise.
Con l’auspicio che i due giornalisti, in un futuro davvero prossimo, possano raccontare la loro triste esperienza in un Afghanistan libero e non come richiedenti asilo, o rifugiati e titolari di protezione umanitaria come oggi, purtroppo, sono.