A Isernia, il Venerdì Santo è il giorno degli Incappucciati, che indossano una tunica bianca con un cappuccio dello stesso colore e un cordone rosso alla cintola. Molti di loro, sul cappuccio poggiano una corona vegetale fatta di ramoscelli primaverili, che vuole simboleggiare la corona di spine di Cristo; infatti preferiscono in maggioranza utilizzare arbusti spinosi di rovo.
Fino al 1989, i portatori delle statue dell’Addolorata e di Gesù morto non indossavano il cappuccio, che era riservato ai soli portatori delle croci e dei busti degli Ecce Homo. Il cappuccio isernino è di tipo floscio, con la punta che ricade all’indietro, a differenza di quello “armato” cioè rigido e a forma di alto cono, come ad esempio il “capirote” spagnolo in uso nelle processioni della settimana santa.
Tale copricapo e coprivolto (oltre a tutto ciò che si potrebbe evidenziare sulla sua genesi e sulla sua valenza originaria) ha assunto nei secoli un valore sempre più catartico per chi lo utilizza. Gli Incappucciati, infatti, partecipano al rito principalmente per scopi di purificazione da raggiungere attraverso forme penitenziali, come sopportare per lungo tempo il peso d’una croce o d’una statua, camminare a piedi scalzi, recitare preghiere e altro ancora. Cercano l’espiazione dei peccati, vogliono mondare l’anima da ogni colpa. Secondo molte testimonianze raccolte, però, chiedono anche grazie e, in cambio, fanno voto e si impegnano, ad esempio, a sfilare in processione per gli anni futuri.
Gli Incappucciati per dare maggiore valore a tutto ciò celano la propria identità. Non intendono, cioè, ostentare la presenza nel corteo processionale ma la nascondono per assecondare, senza esibirle, una mistica ricerca della dimensione del sacro e un’intima contemplazione della sofferenza (la morte di Cristo e il lutto dell’Addolorata).
Negli ultimi decenni, indossare il cappuccio ha consentito anche alle donne di essere protagoniste del Venerdì Santo a Isernia, eliminando una prerogativa che in origine era riservata ai soli uomini. Oltre a far superare le distinzioni di sesso, l’anonimato contribuisce anche a coprire le disuguaglianze di classe e, in tal senso, risulta funzionale a una migliore armonia sociale.
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Mauro Gioielli