“ De’ pellegrini che pensosi andate”, scrive Dante alighieri in un sonetto della “ Vita Nova”, opera giovanile , un prosimetro contenente una ballata, 25 sonetti e 5 poesie. Allude al passaggio a Firenze di scie di pellegrini diretti a Roma. Gruppi di persone che si incamminavano intraprendendo viaggi lunghi e faticosi per motivi devozionali o penitenziali. Una pratica molto diffusa nel Medioevo e non solo. Una categoria che nei tempi moderni si è trasformata nella pratica del turismo di massa e negli ultimi decenni ha assunto la denominazione di cammini, rinverditi da iniziative di progetti europei sul solco delle vecchie vie che spesso coincidevano con le strade della transumanza. Tutto è iniziato negli anni settanta quando è stato riscoperto il cammino di Santiago di Compostela, meta di uno dei tre più importanti pellegrinaggi della storia insieme a Roma e Gerusalemme.
L’ Italia di allora era dotata di percorsi viari, strade romane come la via Francigena che collegava l’Europa occidentale a Roma passando per le Alpi. E le persone che affrontavano questi lunghissimi viaggi trovavano ricetto negli “ spedali”, solo dopo aver potuto dimostrare lo status di pellegrini. Uno dei pellegrinaggi più noti della storia, è stato quello verso Roma nel 1300 in occasione del Giubileo istituito da papa Bonifacio VIII e che meritava l’ottenimento dell’indulgenza plenaria a chi avesse visitato le Basiliche di San Pietro e San Paolo. Un evento che portò a Roma migliaia di persone e tra questi lo stesso Dante Alighieri, come si evince dal canto XVII dell’inferno dove le due schiere di peccatori che attraversano i lati opposti della prima bolgia, sono paragonati ai pellegrini che sul ponte Milvio, camminano sui due sensi “ come i roman per l’essercito molto/ l’anno del giubileo su per lo ponte/ hanno a pasar la gente molto colto che….”.
Un passaggio di pellegrini che dalla Croazia vanno a Roma nell’anno giubilare, si può cogliere nel canto XXXI del Paradiso dove Dante paragona sé stesso, mentre è in contemplazione del volto di San Bernardo, al pellegrino venuto da una regione lontana per saziare il desiderio di vedere l’immagine di Cristo impresso nel lenzuolo della Veronica “ qual è colui che forse di Croazia/, viene a veder la veronica nostra/ che per l’antica fame non si sazia “. E proprio dalla Croazia o meglio dalle popolazioni croate che dopo un paio di secoli si insedieranno nei territori del Molise, partiva uno dei pellegrinaggi più significati dell’area molisana lungo il percorso dei tratturi, ma anche di alcuni tratti della Francigena del Sud che da Roma portava a Brindisi, e quindi all’imbarco per la terra santa, passando per Isernia, Boiano ed altre località, attraversando la Capitanata, fino al santuario di San Michele Arcangelo sul Gargano. Posta nei pressi della regia dogana del tavoliere, la grotta e il santuario dove nasce il culto di San Michele, richiamava i devoti in due distinti periodi dell’anno.
L’otto maggio, in coincidenza con la prima fiera di Foggia e il 29 settembre, si incamminavano i pellegrini da Acquaviva Collecroce, da Baranello, Campolieto, Monteroduni, Ripalimosani, Sant’Angelo del Pesco e Sant’Elena Sannita. Dichiarato dal 2011 patrimonio Unesco il santuario di San Michele Arcangelo è posto sulla direttrice dei sette santuari della linea di San Michele e che sono : Skelling Michael Irlanda, St Michael’s Mount Gra Bretagna, Mont San Michel Francia, Sagra di San Michele Piemonte, San Michele Puglia, Monastero di San Michele in Grecia e il monastero di Monte Carmelo in Israele. Detta ” linea del mistero” tocca i punti energetici del mondo e come narra la leggenda, pare fosse stata tracciata dal colpo di spada che il Santo avrebbe inferto al diavolo.
“Era un giorno del mese di maggio del 1853 quando siamo andati a San Michele Arcangelo con la guida dello scrittore Francesco Vetta, sfogliando le pagine del romanzo “ Adolfo e Marietta”, ripubblicato in forma anastatica dalla casa editrice Mnamon di Milano. Avevamo con noi il bordone, la schiavina, la bisaccia e la pazienza”.
Fernanda Pugliese