#parolaviva
In quel tempo, Gesù, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidòne, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli. Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: “Effatà”, cioè: “Apriti!”. E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente. E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano e, pieni di stupore, dicevano: “Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!”.
#vivilaparola
Sin da quando nasciamo seguiamo la voce di mamma e papà, ascoltiamo una parola, poi emettiamo dei suoni e facciamo dei segni, infine veniamo educati ad un linguaggio, assimiliamo una grammatica: non è solo uno strumento del pensiero ma riguarda l’essere, infatti chi possiede un linguaggio, è, mentre chi non riesce ad avere voce, non è. Si tratta della condizione originaria dell’umano, della sua essenza: il linguaggio non è solo affermazione di una presenza, ma riguarda la verità dell’essere. È difficile per un sordo e un muto, un balbuziente crearsi uno spazio, dire la sua presenza, e farsi capire dall’altro: quanti diritti sono negati perché ridotti all’isolamento e al silenzio.
Quanta tristezza quando nessuno ci capisce e ci ascolta: fatichiamo a farci capire soprattutto dove c’è chiusura e incapacità di ascoltare. Qui cadiamo in quella solitudine negativa che ci allontana da quelle relazioni significative che ci permettono di trovare un senso. Oggi scorrono fiumi di parole eppure è difficile comunicare realmente e comprendere l’altro: siamo tutti estranei gli uni agli altri. Nella società della comunicazione viviamo di incomprensioni, nonostante siamo nel tempo dei social, ed esperti nell’utilizzo di smart phone e nuove tecnologie informatiche, non riusciamo a parlarci ed ascoltarci, ed entrare nella profondità, e scoprire la bellezza dell’essere. Eppure quanta salvezza c’è in una parola che parla al cuore, e in un orecchio capace di ascoltare le parole dell’anima.
Nel Vangelo di questa domenica troviamo Gesù che attraversa Tiro e Sidone, terre lontane, dei pagane per i giudei, ritenute dalla religione ebraica maledette: Dio non ha paura di percorrere ciò che viene ritenuto impuro e scartato dagli altri. Noi si. Ma Lui no. La salvezza è per tutti.
Mentre si trova per la strada polverosa viene presentato a Gesù un sordo muto, tutti stanno a guardare come reagisce il Nazareno: non si allontana ma compie un gesto strano, di guarigione, prende e porta in disparte, posa le dita nelle orecchie, e con la saliva tocca le labbra, soffia l’alito di vita. Improvvisamente la lingua si scioglie e l’orecchio si apre, ritorna la parola, sboccia la vita: la fede è vita, comunicazione, di segni concreti, di gesti che liberano e aprono le bocche chiuse e le orecchie otturate, maggiormente i cuori induriti, incapaci di amare, accogliere l’emarginato, Dio.
A volte anche il nostro cristianesimo è affetto dal virus della chiusura e dell’incomunicabilità, manifestazione di un cuore privo di sentimenti e di amore, verso il Dio che diciamo di credere e il prossimo che è suo riflesso. È necessario a volte andare in disparte, fermarsi, lasciarsi portare nel silenzio e stare con il Signore della vita, purificare le nostre labbra e le nostre orecchie: perché viene per guarirci dalle nostre chiusure e ferite. Spesso il nostro cuore è intossicato, come inquinato dall’ascolto di parole poco pulite e sincere. Mentre, attraverso la sua parola e i segni che ci dona, i sacramenti della vita, viene a liberarci e renderci capaci di pronunciare una parola salvifica e ascoltare il canto della bellezza: ciò che riempie l’anima di gioia.
Il linguaggio dell’amore è fatto di poche parole, più di silenzi e principalmente di gesti rivoluzionari a non si fermano dinanzi ai confini convenzionali di una morale vuota, bensì traboccano di vita che trasforma e rigenera una nuova umanità.
#farsiparola
Una vita per gli ultimi, italiani e non. Ha dato voce e ascolto a chi era dimenticato, messo ai margini e considerato invisibile. Chi ha scoperto l’amore del Dio di Gesù nel servizio dei poveri è padre Alex Zanotelli, missionario comboniano che testimonia il Vangelo ed ha condiviso la miseria e la sofferenza di migliaia di diseredati senza voce, ammucchiati nella baraccopoli di Korogocho in Kenya, ed oggi vive tra i nuovi e invisibili poveri del rione sanità a Napoli.
Missionario comboniano, dopo aver completato gli studi di teologia a Cincinnati (Usa) è partito per il Sudan. Dopo otto anni viene allontanato dal governo a causa della sua solidarietà con il popolo Nuba e della coraggiosa testimonianza cristiana. Assume la direzione della rivista Nigrizia nel 1978 e contribuisce a renderla sempre più un mensile di informazione, nel solco di una tradizione avviata nel 1883 e consolidatasi a partire dagli anni Cinquanta del secolo scorso.
Il suo programma di lavoro è ben chiaro fin dall’inizio: “Essere al servizio dell’Africa, in particolare ‘voce dei senza voce’, per una critica radicale al sistema politico-economico del Nord del mondo che crea al Sud sempre nuova miseria e distrugge i valori africani più belli, autentici e profondi”. Per quasi dieci anni, Zanotelli ha saputo prendere posizioni precise e imporsi all’opinione pubblica italiana, affrontando i temi del commercio delle armi, della cooperazione allo sviluppo affaristica e lottizzata, dell’apartheid sudafricano. E’ stato anche tra i fondatori del movimento “Beati i costruttori di pace“, con cui ha condotto molte battaglie in nome della cultura della mondialità e per i diritti dei popoli.
In una intervista ha dichiarato: “Un missionario che vive e cammina con i poveri del Sud del mondo deve avere il coraggio di ritornare nel Nord e contestare un sistema che ammazza e uccide. Queste sono tutte dinamiche profonde che rimangono. Mi rimane poi la forza della spiritualità che intreccia sempre la condizione umana. Infine direi la capacità che ti danno i poveri, i baraccati, gli ultimi della storia, di credere che la vita vince nonostante tutto: la capacità – anche nei gironi della morte – di danzare la vita, di credere che la vita vince, di lottare e di darsi da fare”.
Sono stati o poveri a convertirlo al Vangelo e alla causa della giustizia. Per questo lotta e difende non solo gli uomini, ma anche la terra, perché tutto è interconnesso. Il creato soffre a causa della mano dell’uomo e di un sistema di sviluppo insostenibile che produce e consuma depredando la terra. Una presa di posizione che richiama tutti ad un nuovo rapporto con la terra e soprattutto a purificare le nostre menti e i nostri cuori dall’individualismo e dall’egoismo che inquina il presente e ruba il futuro.
Paolo Greco