parolaviva
In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».
vivilaparola
Ogni vita è una visita, un corpo e un’anima, una mente e un cuore che entra in questa storia e diviene presenza, chiede spazio e accoglienza: al contempo è apertura all’altro, a quel tu che le consente di essere pienamente. Apertura ad una visita, che porta un messaggio, una notizia, ciò che si attende con trepidazione nell’intimo: la mamma attende il figlio, il padre una buona notizia, il figlio un sogno, l’anziano una carezza. Tutta la terra attende la visita di qualcuno, la notte l’alba, l’inverno la primavera, il seme la pioggia, il grano il sole: la nostra esistenza è condita di visite, a volte liete e altre meno, di alcune vorremmo evitarle, tuttavia viviamo di incontri, siamo caratterizzati dall’attesa, aspettiamo visite e ne facciamo agli altri: senza questa apertura a ciò che viene incontro non siamo, ci chiudiamo e tutto soffoca, e imputridisce. Ciascuno di noi porta qualcosa all’altro, un sorriso, una gioia, una smorfia di tristezza: non siamo solo presenza, ma anche messaggio, comunichiamo qualcosa, che sia un a speranza o altro.
Accade che per visitare i nostri cari facciamo chilometri, ci mettiamo in viaggio e affrontiamo distanze, code lunghissime, non esitiamo a fare qualche sacrificio pur di stare vicino a chi vogliamo bene: non ci pesa la fatica, diventa tutto un motivo di felicità condividere con l’altro i sentimenti che ci uniscono… l’amore non calcola i costi, bensì dona e basta.
Il Vangelo di questa domenica ci avvicina all’esperienza di due donne visitate dal mistero di un Dio che entra nelle pieghe della storia e si coinvolge con essa fino a penetrarne la carne: si tratta di una pagina che mette il capogiro per i fatti che accadono e i significati che assumono… una fanciulla ha creduto alle parole del messaggero ed è divenuto la madre di Dio: quale generazione è più rivoluzionaria? Un Dio che viene per vie mirabolanti e trionfanti, bensì attraverso la semplicità e l’umiltà di una fanciulla di periferia.
Possiamo immaginare il turbamento e la confusione di Maria, dopo i misteriosi eventi, i dubbi che l’assalgono, ma anche la convinzione che quel che è generato in lei è opera di Dio a cui corrispondere fedelmente: appena partito l’angelo, di fretta si mette in viaggio, sale la regione montuosa che la porterà nella casa di Zaccaria ed Elisabetta sua cugina. Qui accade un’ulteriore conferma di ciò che sta accadendo, dopo avere salutato, il grembo di Elisabetta sussulta di gioia: il Santo non è più nel tempio di pietra, ma è lì nella carne di una donna, dove si intrecciano umano e divino. La fede nasce da un incontro e si diffonde attraverso l’arte dell’incontro, da qui scaturisce la benedizione, che dice bene della vita e ci conduce al bene: per ogni dialogo del cuore, condivisione di un abbraccio, è Dio che benedice con la presenza dell’altro: l’auspicio è che possa Egli benedire te con la presenza di chi ci sta di fronte.
Maria è benedetta fra le donne, beata perché ha creduto, e porta il frutto della fede: il credente è benedetto quando porta il frutto della propria fede all’altro…ovvero quando porta l’amore ai fratelli. Qui sta la prima delle tante beatitudini del Vangelo, la fede è adesione al cuore di Dio, che permette alla vita di fiorire nell’amore. Da Maria e Elisabetta impariamo che il cristianesimo prima di tutto è una presenza discreta nella nostra esistenza, una compagnia sincera nella solitudine, una luce calda nel buio, qualcuno che viene, un volto e uno sguardo simpatico che ci consegna cose che neppure osavamo pensare e sperare. Il Natale che ritorniamo a festeggiare, è proprio l’acquisizione della consapevolezza che dentro le contraddizioni della storia e più ancora dentro la fragilità della carne umana, palpita un altro cuore, che ci sostiene e non si spegne più.
farsiparola
Chi ha è stata visitata dalla presenza di Dio nella sua vita e ne ha fatto a sua volta presenza per il prossimo con la testimonianza della propria vita è Annika, la bomber vicentina della Nazionale Suore: che ha fatto della pratica del calcio un’opera di evangelizzazione. Leggo questa storia sul corriere online del veneto: nata nel 1989, insegnante di Storia dell’arte, è convocata nella Nazionale Suore: «Da piccola imparai l’alzata di Pelè per giocare con i maschi» ha dichiarato nell’intervista. Annika Fabbian, vicentina, centravanti della «Nazionale italiana suore» in quei 90 minuti di partita ci mette occhi, cuore e soprattutto fede, spiega lei che ha scelto il convento nel 2012, ed è diventata suora nel 2017. Il calcio è un grande amore che la aiuta però per un obiettivo più grande: «Le Consacrate hanno un ruolo importante nelle parrocchie e nella formazione dei giovani – spiega – è per questo che le hanno chiesto una collaborazione perché negli oratori e nelle associazioni sportive ci sia anche la presenza di educatrici al femminile, che si facciano promotrici di valori cristiani».
E infatti l’esperienza della Nazionale italiana Suore coinvolge 14 Congregazioni che collaborano in diversi progetti tra i quali ovviamente anche l’evangelizzazione. «I passi da realizzare sono tutti da inventare e sono chiari solo allo Spirito Santo – dice Suor Annika – sappiamo che in più occasioni anche il Santo Padre Francesco ha incoraggiato i calciatori e le squadre sportive e ci inseriamo in questa scia di apprezzamento». La convocazione ufficiale in Nazionale è arrivata il 10 febbraio 2021, dal tecnico della Nazionale preti, Moreno Buccianti, che oggi allena anche la Nazionale Suore: «Ho ricevuto appoggio dalle mie superiori fin da subito» spiega Suor Annika.
«È sicuramente un’importante occasione evangelizzatrice, se fatta nel modo giusto è una cosa bella». Suor Annika rispetta le indicazioni, i tempi, i silenzi richiesti, ma è anche «smart», veloce, non perde mai il suo «focus»: «Il calcio è un gioco di squadra, non ci si può divertire da soli! E se è vissuto così, può davvero far bene anche alla testa e al cuore in una società che esaspera il soggettivismo, cioè la centralità del proprio io, quasi come un principio assoluto – scrive Suor Annika – non sono parole mie, ma del discorso di Papa Francesco del 2019 – Il calcio è un gioco di squadra, e questo fa bene a tutti noi. Il pallone diventa un mezzo per invitare le persone reali a condividere l’amicizia, a ritrovarsi in uno spazio, a guardarsi in faccia, a sfidarsi per mettere alla prova le proprie abilità». Suor Annika con la sua passione, il suo sorriso e la fede che la caratterizzano testimonia la presenza di Dio anche in un campo di calcio.
Paolo Greco