#parolaviva
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
“A voi che ascoltate, io dico: amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male. A chi ti percuote sulla guancia, offri anche l’altra; a chi ti strappa il mantello, non rifiutare neanche la tunica. Da’ a chiunque ti chiede, e a chi prende le cose tue, non chiederle indietro. E come volete che gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro. Se amate quelli che vi amano, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori amano quelli che li amano. E se fate del bene a coloro che fanno del bene a voi, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori fanno lo stesso. E se prestate a coloro da cui sperate ricevere, quale gratitudine vi è dovuta?
Anche i peccatori concedono prestiti ai peccatori per riceverne altrettanto. Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e la vostra ricompensa sarà grande e sarete figli dell’Altissimo, perché egli è benevolo verso gli ingrati e i malvagi.
Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso. Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati. Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio”.
#vivilaparola
Il gemito di una misura buona, pigiata, colma e traboccante si trova in ogni esistenza: ciascuno desidera una vita buona, piena, ricolma di bellezza, traboccante di sapore. Il sussulto di una vita che fa la differenza e non cede all’indifferenza dell’esserci, si trova nel pensarsi con l’altro e per l’altro: attraversa corpi e anime che hanno scoperto il segreto di quella felicità che non confonde quello che usi con quello che sei.
Oggi si impone una controcultura che contempla il successo nell’essere per sé stessi, nascondendo quello che siamo in quello che abbiamo: viviamo tutto in maniera autoreferenziale ed egoista, mentre in realtà il vero successo si trova nel lasciarsi incontrare dal vento che soffia libero, nel liberare il sogno profondo che ci abita, il desiderio di amare ed essere amato. In altre parole, il successo non è acquistare consensi e riempirsi di cose, bensì è nell’andare oltre sé stessi, apertamente verso l’alterità e la realtà tutta, anche quella più ostile, con cuore amante e sorridente.
Nell’altro, anche il più violento, si nasconde il volto umano di chi un giorno è stato amato ed ora non lo è più: siamo fatti per amare, nonostante tutto, siamo due braccia, una bocca, due piedi, un cuore, due orecchie, una testa e due occhi per trovarci, afferrarci, ascoltarci, guardarci, pensarci, ascoltarci e abbracciarci. In effetti se ci pensiamo bene abbiamo tutti un disperato bisogno di essere abbracciati, guardati, ascoltati, abbracciati. Abbiamo bisogno di aprire le braccia senza paura e senza misura: sarebbe tutta un’altra storia se ciò che desideriamo per noi, lo doniamo all’altro da noi.
Il Vangelo di questa domenica ci presenta il discorso che Gesù fa seguire alla proclamazione delle beatitudini. Si tratta di un discorso che può apparire a primo impatto surreale e che troppo spesso diamo per scontato, in maniera troppo fatalista, quando in realtà interroga tutti noi sulle reali possibilità di mettere in pratica la radicalità dell’amore cristiano. Infatti ciò che
emerge è quella che può essere bene definita come la “differenza cristiana” che i cristiani, non per vanteria ma a solo titolo di amore, devono saper vivere e mostrare rispetto alle genti, ai pagani in mezzo ai quali vivono.
Gesù ci invita ad amare i nostri nemici, fare del bene a quelli che ci odiano, benedire coloro che ci maledicono e pregare per coloro che ci trattano male: a fare agli altri ciò che vogliamo che gli altri facciano a noi. Sono parole spesso davanti alle quali ci commuoviamo, da cui restiamo ammirati e profondamente apprezziamo e sappiamo essere vere, ma difficili da attuare con le nostre povere forze umane.
Dobbiamo riconoscere che nel nostro piccolo vivere quotidiano non è sempre facile relazionarci con chi ci critica e ci calunnia, con chi ci fa soffrire a causa della nostra fede, con chi facilmente ci aggredisce e rende la nostra vita difficile per il semplice fatto che siamo cristiani. In tutta onestà dobbiamo dire che a volte è una vera e propria lotta con noi stessi per non ripagare il male ricevuto e nutrire nell’intimo sentimenti di amore per chi si mostra indifferente, ostile e nemico, anche se non ci si vendica nei suoi confronti.
Ma i conti di Dio non sono come i nostri: tra il dare e il ricevere umano Gesù introduce lo sbilanciamento divino. La differenza cristiana è proprio nel lasciarsi inondare dell’amore di un Dio che ha amato per primo, porgendo l’altra guancia, lasciando il suo mantello a chi glielo ha strappato, perdonando a chi lo insultava, rispondendo con il bene a chi gli faceva del male: il cristiano è una persona radicata nella vita di Dio, per questo dono e non per uno sforzo volontaristico è capace di amare sulla stessa misura dell’amore di Gesù.
#farsiparola
Chi è radicata nell’amore di Dio e cerca quotidianamente di amare sulla misura dei sentimenti di Gesù è Suor Mirba Farah in Libano: religiosa delle suore di Santa Giovanna Antida Thouret, che in collaborazione con l’ong Engim sta aiutando circa 500 famiglie a Beirut.
Continua la crisi economica nel Paese dei Cedri, cresce la disoccupazione, l’inflazione e l’aumento dei prezzi delle materie prime causa tanta sofferenza ai cittadini che si trovano in una condizione di insostenibile povertà. La testimonianza di Suor Mirna è apparsa in una intervista su Vaticannews.va e conferma l’impegno dei cristiani anche nelle terre difficili, segnate da guerra e carestia. L’amore evangelico non ha confini, i suoi confini sono le vite umane che attendono di essere amare e abbracciate, sollevate e curate.
Suor Mirna vive tra le famiglie in affanno e la disperazione dei giovani, vede le madri vendere i propri elettrodomestici per curare i bambini e tante persone ammalate che non possono più permettersi di pagare le loro cure, ma non si scoraggia, è attiva, operosa, sempre pronta a trovare una soluzione in una terra che non riesce più a trovare pace e serenità.
L’esplosione di qualche anno fa ha distrutto tante istituzioni ecclesiali e anche la Chiesa ha avuto i suoi danni, le diverse scuole, università e strutture sanitarie, che gestisce e danno lavoro a migliaia di persone. Anche la Chiesa soffre come le altre istituzioni perché il suo denaro è bloccato nelle banche, tuttavia i vescovi e i superiori degli ordini religiosi, ha continuato Suor Mirna, hanno espresso la volontà concreta di sostenere la popolazione, dove cristiani e musulmani vivono insieme, offrendo aiuti che vengono dall’esterno e preservando il lavoro e il pagamento degli stipendi di tutti i dipendenti delle diverse istituzioni.
Si tratta, questo, di un aspetto molto importante, perché impedisce alle persone di essere senza lavoro. In questa emergenza economicamente così grave, la Chiesa ha attuato altri programmi di solidarietà, nelle parrocchie, con i movimenti della gioventù, ma è sopraffatta dalla enormità dei bisogni e non è in grado di sostituire uno Stato in fallimento. Noi sentiamo che tutto quello che facciamo non basta, ma è una goccia nel mare, ha concluso Suor Mirna.
Paolo Greco