La rigidità muscolare è uno dei segni principali nella Malattia di Parkinson e, oltre a rendere difficile il movimento, può causare dolore al paziente. Misurarla e capirne le cause è stato a lungo un enigma per i clinici. Ora, grazie a una ricerca condotta da Sapienza Università di Roma e dall’I.R.C.C.S. Neuromed di Pozzilli (IS) emerge una migliore comprensione di questo fenomeno, rivelando una rete neurale coinvolta e aprendo la strada a terapie più efficaci.
Lo studio, condotto su 20 pazienti affetti da Malattia di Parkinson messi a confronto con 25 persone sane, ha utilizzato un sistema robotico che consentiva di estendere passivamente il polso dei soggetti studiati. Variando le velocità dei movimenti, e associando i risultati con misurazioni neurofisiologiche, i ricercatori sono stati in grado di quantificare la rigidità e mettere in relazione le componenti biomeccaniche (dovute a ossa, articolazioni, muscoli e tendini) con quelle dovute direttamente all’attività del sistema nervoso.
“Abbiamo realizzato – dice il professor Antonio Suppa, Dipartimento di Neuroscienze Umane, Sapienza Università di Roma e IRCCS Neuromed – un nuovo paradigma sperimentale basato su strumentazione robotica integrata a neurofisiologia che ha consentito di esplorare più a fondo uno dei tre segni clinici cardine della Malattia di Parkinson.
La comprensione della rigidità in questa patologia, infatti, è praticamente tuttora ancora ignota. A tutt’oggi i clinici hanno pochi strumenti a disposizione per classificarla e misurarla, e l’approccio si basa su scale cliniche eseguite dall’operatore”.
Per fare progressi in questo campo servono approcci metodologici innovativi in grado di misurare oggettivamente la rigidità parkinsoniana, discriminare le diverse fonti biomeccaniche del tono muscolare e chiarire il contributo di specifiche risposte neurofisiologiche, come i riflessi. Proprio in questa direzione si sono mossi gli autori del lavoro scientifico
“L’uso combinato del robot e della neurofisiologia – conclude il Dott. Francesco Asci, primo autore dello studio – ci ha permesso di integrare tutti i dati con un algoritmo capace di distinguere le varie componenti responsabili della rigidità. Questo ha portato alla scoperta di un network nervoso coinvolto in questo specifico aspetto della patologia che, ricordiamo, è un aspetto cardine della Malattia di Parkinson”.