Gli individui resilienti sono coloro che – di fronte a difficoltà ed eventi traumatici – non si arrendono, ma al contrario, trovano la forza di andare avanti e sono addirittura capaci di trasformare l’evento negativo subito in una fonte di apprendimento che consente loro di acquisire competenze utili per migliorare la loro condizione di vita. I restanti sono quelle persone che nonostante le difficoltà e sulla spinta del desiderio, restano nella propria terra d’origine, con intenti propositivi e iniziative di rinnovamento.
Due concetti diversi, due concrete reazioni che per i più dovrebbero favorire la controtendenza alla dura realtà dello spopolamento dei centri minori, renderla meno afflittiva. Si teorizza sul favorire il ripopolamento, come se i paesi fossero delle savane da animali da estinzione, con immigrati e/o favorendo la stabilità residenziale di stranieri dall’età non certo delle più feconde con conseguente perdita identitaria, di quel vissuto che rende i paesi diversi, godibili e non di certo dormitori. Insomma, si parla si parla ma alla fine non si arriva a nulla.
Esperti del turismo che si cimentano in irrazionali voli pindarici solo per riempire foglia bianchi da statistica che di verità ha solo l’ego propria e l’inarrendevole concetto di sintonia con il proprio affare. Lo spopolamento è inesorabile, determinato dalle scelte dell’uomo che adesso dovrebbe, lo stesso, metterci una toppa e potarlo a sbugiardare sé stesso. La migrazione interna verso le città non è certamente cosa moderna, anzi! Le condizioni di depauperamento delle attività identitarie a favore di coinvolgimenti multipli è stata e è tuttora, inesorabile.
Politiche di razionalizzazione della spesa, di quelle funzioni vitali poste alla base dei presidi indispensabili, il cavalcare la multietnica filosofia dell’integrazione a tutti i costi cozzando con la dignità dei luoghi in termini strettamente identitari, e non di certo razziali come qualcuno potrebbe pensare, il convincersi che prima o poi possa accadere il ritorno di milioni di “figlioli prodighi”, lo scotto di una globalizzazione che prima da e poi prende con interessi altissimi, la mancanza di vie di comunicazione efficaci che non afferiscono a decentramenti ma a concentramenti verso lidi più assolati dai cassetti pieni di speranza per chi ha la necessità di mostrarsi al mondo per facilitarsi la vita e conformarsi un futuro degno dell’essere umano, tutti insieme hanno decretato la morte lenta ma inesorabile delle aree interne che garantiscono ancora l’essenza della spina dorsale di una nazione che combatte con la regola : quello che si dice oggi è vecchio già ieri. “Faremo, diremo, porteremo, vi finanzieremo” le parole guida nei confronti di chi ormai è allo stremo delle forze.
La confusione si amplifica e la rincorsa verso l’ossigeno condiziona ancor più negativamente i malati che senza una costante razione di aria benefica, non di certo vedranno benefici a lungo termine. L’aiuto spesso e volentieri viene da Signore, l’unico che ha saputo fare cielo e terra. Le piccole boccate saranno soffocate da cappi al collo sempre più stretti e la morte, ormai vicina, sarà inesorabile.
Arriverà con la sua grande falce e godrà dell’ingordigia di pochi che chiuderà gli occhi ai più, quelli senza peccato che saranno costretti prima di morire a lanciare la pietra senza poter nascondere la mano. Una pietra rappresentata dalle chiavi delle proprie attività che andranno a far parte dei cimeli di una guerra persa e non più consona a essere combattuta. L’arrendersi sarà “la tomba” e la gioia di chi ha goduto di fortune migliori, condizioni più favorevoli, proprietà imprenditoriali diverse, sarà lì a aspettare il carro funebre.
Il Molise non è indenne a tutto ciò e ogni anno che appare nuovo sul calendario traccia somme negative. Il 2024, come gli anni precedenti da almeno venti a oggi, vede la restituzione della carta retributiva da parte di circa 500 imprese, come certificato dalla Camera di Commercio a cui vanno i ringraziamenti per l’analisi e per l’inconfutabile grafico. Piccoli o grandi che siano – gli esercenti – il loro alzar bandiera bianca, determina quell’onda negativa che favorisce ancor più la transumanza verso “Lidi” dal mare decisamente meno tempestoso. Oltre 2000 lavoratori hanno perso il lavoro a fronte di nuove assunzioni, al loro delle cessazioni pari a circa un numero di 1000.
Chiudono caseifici storici, negozi d’abbigliamento, piccoli alimentari – in barba al motto piccolo è bello – bar, trattorie e ristoranti. I corsi delle strade cittadine, i vicoli dei borghi, perdono le luci delle vetrine e con loro la gente che si ferma dinanzi per adunanze amicali, per convivi d’altri tempi. La frenesia dei momenti peggiori si fa strada e la sera, passate le giornate di Festa, torna a essere buia e bagnata da pioggia condizionata dallo sconforto e dalla cancellata visione di positività che i botti di fine d’anno hanno nascosto con auguri spesso e volentieri dettati dalla sola costanza della consolazione.
Linguaggi appropriati che non generino abitudini mentali tesi al mantenimento dello statu quo, cioè alla cristallizzazione delle disuguaglianze, sono sempre meno, lo ricorda Rossano Pazzagli nel suo libro “Un paese di paesi” che, nel porre l’accento alla forza delle piccole dimensioni, nonostante distanziamento delle persone e dei luoghi, vero processo di declino dei luoghi marginali, ci offre un pizzico di speranza. Speranza di poter tornare un tantino centrali, condizionato dalla negazione della paura di investire in termini culturali e sperimentare nuove relazioni e stili di vita.
Agnone con la sua candidatura a Capitale della Cultura Italiana 2026 pone un piccolo passo verso il riposizionamento al centro di quei luoghi marginali che stentano a alzarsi da quel letto di morte sempre più ampio che, se reso scomodo, potrebbe accelerare i tempi del risveglio e concepire una sorta di nuova vita che non tornerà comoda solo a chi del Dio danaro a tutti i costi ne fa bandiera per se stesso e non per intere comunità che dalla resilienza ne potrebbero trarre restanza e dalla restanza condizioni di vita migliori e sempre più identitarie.
Da qui la negazione della cultura a pagamento che non di certo favorisce l’interconnessione con il territorio, ma favorisce altri balzelli antidemocratici, diseguaglianze e allontanamenti identitari. I luoghi devono tornare a vivere aprendo i loro cancelli e non chiudendoli e aprendoli al suono del danaro o dei campanelli suonati da chi ne ha facoltà.
Maurizio Varriano