Da appena otto anni è stata completata e inaugurata la linea ferroviaria Sulmona-Isernia e Emidio Agostinoni in viaggio per l’Abruzzo sale da Sulmona a Roccaraso con il treno.
È il primo pezzo del brano che prosegue poi con il racconto della terra di Roccaraso, tratto dall’opuscolo “Dalla terra d’Abruzzo – otto lettere al giornale Lombardia di Milano” della Casa editrice Sandron.
Roccaraso, agosto 1905
Da una valle verde del più fresco, più vario e più intenso verde, si sale su per la montagna arsa, smunta come troppo tenera madre, stanca dagli anni, corrosa dall’acqua che balza e fugge per ogni vena e porta la vita alla giovinezza del piano che si rinnova senza posa.
Il treno è lentissimo, la macchina stride, ansima e freme come anima in pena e pare che da un momento all’altro debba cadere vinta, sfinita e si debba tornare indietro a precipizio laggiù nel fondo verde che s’allontana come nel pozzo la luna.
E si sale, si sale sul fianco delle montagne, sulla roccia vergine contaminata, sui viadotti ardui susseguentisi senza posa, nelle gallerie che v’oscurano il panorama ad ogni passo; da monte a monte intorno alla stessa valle, con la Maiella che vi guarda e s’avvicina come per ammonirvi. Istintivamente guardate indietro e vedete giù la ferrovia lontana serpeggiare già percorsa, vi volgete in alto e lontano scorgete la via che dovete percorrere e più in su altre montagne, altra via.
E intanto il panorama s’allarga: al di là delle cime che s’allontanano a perdita d’occhio in ogni senso, altre montagne basse e curve come in adorazione dei colossi maggiori, colorate in cento toni dalle tenui tinte sfumanti del sole che appare. È la festa del verde, del rosa o dell’azzurro leggero come un velo. Fa freddo, abbiamo oltrepassato da un pezzo i mille metri con la ferrovia più alta d’Europa.
Dopo due ore di faticosa ascesa finalmente si abbandona la valle correndo sull’altopiano. La scena cambia d’un tratto, solo la Maiella ci segue. S’apre una pianura, le montagne altissime sembrano colli morbidi, verdi fin sulle cime. Si dimentica l’orrido dei burroni, dei fianchi corrosi, delle vette arse, abbaglianti, pur tanto belle nella loro bruttezza, che guardammo per tanto tempo.
La pianura s’allarga per molte miglia, i monti che sembrano colli s’allontanano in giro come per far cortesia, la vista spazia sopra un verde tenero, eguale, liscio; sembra di solcare un gran lago alpino calmo e chiaro che si nasconde fra le ampie, profonde insenature, alimentato dai rigagnoli di verde che scendono dai boschi coronanti le cime quali eterni ghiacciai.
Siamo nel cuore dell’Abruzzo, sulla montagna avvolta dal mistero, intorno alla terra d’Aligi. Il treno corre, s’accosta al monte come il battello alla riva, tocca i paesi che si stendono al sole, e torna al largo. Ci avviciniamo all’ultima fermata del piano, a Roccaraso.
Il paesello si scorge nitido e svelto su una collinetta, volto a nord, verso di noi come per salutarci, con le sue linee spezzate, coi tetti neri che si soverchiano a vicenda, coi campanili senza guglia, bassi e retti come colonne.
Ugo Del Castello