Molti si sono chiesti come fece la Wermacht, alla fine dell’estate del 1943, ad occupare velocemente e con precisione le centinaia di postazioni lungo quella che diventò per loro la prima grande linea di difesa contro l’avanzata Alleata nel sud dell’Europa verso la Germania.
La parte centrale della linea Gustav, che andava dalle Mainarde ai primi contrafforti della Maiella, fu tracciata dai tedeschi sulle carte topografiche con una sequenza interminabile di postazioni, ricoveri, camminamenti, punti di osservazione, che avevano il centro nevralgico per un possibile sfondamento sul valico di Roccaraso, dove passava una strada statale e la linea ferroviaria Isernia-Sulmona, che si insinuavano direttamente verso in nord Italia.
Il Prof. Francesco Sabatini, prefatore del libro, chiarì definitivamente le sue conoscenze sulle vicende di occupazione con l’episodio sconosciuto e qui raccontato.
“Circa mezzo secolo di sviluppo turistico aveva cambiato la vita di tante persone: c’era chi lavorava negli alberghi; chi aveva messo su una piccola attività ricettiva; chi lavorava presso le ville patrizie; qualcuno era diventato maestro di sci; molti ragazzi durante “la stagione” guadagnavano bei soldini trasportando i bagagli dei turisti dalla stazione ferroviaria ai luoghi di alloggio, o incerando il fondo degli sci; i proprietari di cavalli si erano attrezzati con slitte per il trasporto degli sciatori dalla stazione ferroviaria, ai campi di sci, o per qualche escursione sull’altopiano verso Rivisondoli o Pescocostanzo. Ma molti vivevano ancora di agricoltura o di zootecnia e scomparsa la neve le montagne brulicavano di pecore.
Il rito della transumanza, come ogni anno, anche nel giugno del 1943 ebbe luogo e gli stazzi, dislocati tutt’intorno tornarono a vivere una nuova stagione. Durante quell’estate, come ciclicamente accadeva ogni mattina, i contadini armati di zappe, falci e falcetti, di reti per trasportare i covoni di grano o di fieno, risalivano i sentieri di Costa Calda per raggiungere i terreni coltivati e sparsi sui dorsali assolati che dominavano il piano delle Cinque Miglia e quello dell’Aremogna. Si coltivavano terreni anche verso Pietransieri e Castel di Sangro.
Mia madre Maria, insieme con le sorelle Clarice e Concetta ed altre persone, si recava quasi ogni giorno a coltivare i terreni posseduti verso l’Aremogna. Alla fine di luglio del ‘43 – qualche giorno dopo il 25, quando la caduta del fascismo aveva già messo in moto il piano di occupazione tedesca dell’Italia – mentre si recavano in quei luoghi, appena superata la cima di Costa Calda, sul pendio che scende alla Fonte della Guardia, ad esse capitò di incontrare un uomo.
Era alto, aveva la camicia a quadri, calzoni di velluto e scarponi, era appoggiato ad un cavalletto mentre scriveva o disegnava. Lo riconobbero, era il “Russo”. Il Russo era un uomo dalla carnagione chiara, quasi rossastra e lentigginosa. Lo avevano incontrato spesso anche l’anno precedente sul percorso che ogni giorno ripetevano per andare a quei terreni. Era riservato, non voleva essere disturbato, non dava retta a nessuno.
Neppure a quelle ragazze “ventenni”! Alle quali non era mai capitata una cosa simile. In quella zona neppure i turisti erano mai saliti. A qualche domanda che una di loro più intraprendente gli aveva rivolto: “Chi sei? Da dove vieni? Che fai?” Per lungo tempo non aveva dato risposta. Solo una volta forse infastidito e anche per levarsele di torno disse in un italiano quasi incomprensibile: “La mattina non si parla!” Ma poi continuando aggiunse: “Sono russo, ho da fare, lasciatemi perdere!”
Le prime volte gli passavano distante, poi la curiosità aumentò. Si resero conto che non avrebbero potuto chiedergli altro e quindi cercarono di capire che cosa stesse facendo. Ogni giorno si avvicinavano sempre più fino a che riconobbero una carta topografica sulla quale scriveva e disegnava segni e simboli.
L’anno precedente aveva ornato di segni, simboli e disegni una carta della zona della stazione di partenza della slittovia, verso il Campetto degli Alpini e poi su, verso tutta la salita di Costa Calda, una posizione che permette di affacciarsi sul Prato verso Rivisondoli, il monte Porrara e il valico della Forchetta, su monte Tocco e giù verso Rocca Cinque Miglia e Castel di Sangro, fino a superare il fiume Sangro, per arrivare all’altro versante.
Poi era sceso in paese, e il percorso che andava dalla Terra Vecchia – il cuore antico di Roccaraso – al Colle di Tre Croci lo aveva rilevato metro per metro, con i vicoli dell’abitato, i balzi sul torrente, gli anfratti e le rocce. Era quello il punto più stretto, il passaggio obbligato, il luogo che doveva essere occupato dai cecchini e dalle mitragliatrici.
Adesso stava descrivendo e disegnando i luoghi verso il monte Arazecca, il monte Tre Confini, le Toppe del Tesoro, il monte Pratello, il monte Genzano, il Piano delle Cinque Miglia, il crinale verso il passo di Portella e il monte Croce.
Insomma, un rilievo a tappeto di quello che sarebbe stato il punto mediano della linea Gustav, con al centro il valico di Roccaraso, in ottemperanza delle direttive del Comando Supremo Tedesco – Oberkommand der Wehrmacht (OKW) – per quanto riguarda la formazione dei piani dell’operazione militare denominata “Alarico”, studiata in previsione di un eventuale armistizio separato dell’Italia e concernente l’invasione e l’occupazione della penisola.
Quando ai primi di novembre l’intera area degli altopiani fu occupata dai tedeschi e si completò la linea di difesa, una parte della popolazione si rifugiò sulle alture che circondano il paese; anche la famiglia di mia madre raggiunse i terreni all’inizio del piano dell’Aremogna e si sistemò in una capanna all’addiaccio. Vicino a quel rifugio, come riferirò più avanti, un giorno a mamma capitò di incontrare un tedesco, che le puntò il mitra alla gola; terrorizzata si ricordò del Russo e solo allora comprese la ragione di quei rilievi.”
Ugo Del Castello